Nicoletta Protti | Intervista a Nicoletta Protti, ricercatrice con assegno della sezione INFN di Pavia, selezionata tra le cinque vincitrici della XIII edizione del premio “L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza”.

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IL PREMIO L’ORÉAL-UNESCO ALL’APPLICAZIONE DELLE PARTICELLE ALLA MEDICINA

Intervista a Nicoletta Protti, ricercatrice con assegno della sezione INFN di Pavia, selezionata tra le cinque vincitrici della XIII edizione del premio “L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza”.

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Il premio è parte del progetto internazionale L’Oréal-UNESCO “For Women in Science”, dedicato alla promozione delle vocazioni scientifiche al femminile. Nell’edizione italiana, la giuria seleziona ogni anno cinque ricercatrici under 35, scelte tra centinaia di candidature, sulla base del curriculum personale e del progetto di ricerca proposto. Il progetto di Nicoletta Protti, “Studi preliminari di fattibilità di un trattamento radiogeno per la malattia di Alzheimer basato sul bombardamento neutronico di aggregati amiloidi neurotossici”, si inserisce in un ampio programma di verifica di terapie innovative per la malattia di Alzheimer ed è parte delle attività che l’INFN sostiene da tempo in campo biomedicale.

Dr.ssa Protti, com’è nata la sua passione per le applicazioni della fisica alla terapia medica?

Lo devo in buona parte alla fortuna e si è trattato inizialmente di un vero e proprio colpo di fulmine. Al secondo anno del corso di laurea in fisica ho avuto l’occasione di seguire una lezione sull’adroterapia – la terapia medica con l’uso di fasci protoni e ioni – organizzata a Mortara, il paese in cui sono nata, dal CNAO, il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia. Era una lezione per medici di base, alla quale era stata invitata mia mamma, che è medico, e io la accompagnavo. Un incontro fortunato, quindi, e davvero illuminante. Stavo affrontando una fase del mio percorso di studio che mi costringeva a concentrarmi soprattutto sui fondamentali della fisica, questioni abbastanza astratte e, almeno a un primo impatto, distanti dal vivere quotidiano. La scoperta di questa applicazione concreta della fisica delle particelle a un ambito di grande utilità per le persone è stata una rivelazione. Anche il secondo passaggio è avvenuto un po’ per caso, quando ho conosciuto Saverio Altieri, il professore che a Pavia si occupa di BNCT (Boron Neutron Capture Therapy), una preziosa applicazione delle particelle alla terapia medica: mi sono laureata lavorando nel suo gruppo e sotto la sua guida ho conseguito il dottorato di ricerca. Questo ha dato il via a successive e importanti esperienze anche all’estero.

Qual è il primo obiettivo di questa innovativa ricerca, che le ha permesso di ottenere il prezioso riconoscimento conferito da l’Oréal Italia?

Si ritiene che l'Alzheimer sia associato alla presenza nel cervello del malato di un accumulo di placche extracellulari, composte principalmente di una proteina tossica, il peptide beta-amiloide, che nei soggetti sani ha la funzione di promuovere la crescita cellulare. Oggi, purtroppo, non esistono terapie efficaci per arrestare il decorso della malattia, anche se sono state proposte alcune strategie per limitarne la progressione, rallentando il processo di formazione o, quando possibile, disgregando gli aggregati di beta-amiloide nel cervello. La ricerca ha proprio l’obiettivo di valutare l'efficacia di una tecnica di radioterapia per l’Alzheimer, basata sull'irraggiamento delle placche di beta-amiloide con radiazioni ad alta densità di ionizzazione. Nella mia ricerca, queste radiazioni sono particelle alfa e ioni di litio prodotti da reazioni di cattura neutronica, una particolare reazione nucleare, che sono indotte bombardando con fasci di neutroni alcuni elementi chimici specifici, in particolare l'isotopo 10 del boro e l'isotopo 157 del gadolinio. Dal punto di vista fisico e della loro azione sui tessuti biologici, le radiazioni così prodotte condividono molte delle proprietà delle radiazioni che sono utilizzate abitualmente in adroterapia. Per produrle, mi servo di una sorgente di neutroni di bassa energia che è stata messa a disposizione dall’Università di Pavia presso il reattore di ricerca LENA, il Laboratorio di Energia Nucleare Applicata dell’università, con il quale l’INFN ha da anni un intenso e proficuo rapporto di collaborazione in diversi settori.

A suo parere, quale elemento in particolare ha convinto la giuria del premio a inserire il suo progetto nella lista dei cinque vincitori, selezionandolo tra centinaia di proposte?

Onestamente, penso che la chiave per vincere sia stata la follia. E non solo mia, anche dell’Istituto Mario Negri di Milano che ha coraggiosamente creduto nell’idea di questa ricerca, abbastanza ardita. Naturalmente quando si parla di ricerca, anche il più folle coraggio poggia su risultati concreti. In particolare, in letteratura sono riportati diversi casi clinici di Amiloidosi Tracheo-Bronchiale (TBA) che sono stati efficacemente trattati con radioterapia convenzionale, per ridurre o addirittura far regredire l'accumulo di aggregati proteici amiloidi nei polmoni dei pazienti. La struttura chimica delle proteine coinvolte nella TBA è molto simile a quella delle placche senili di beta-amiloide che si riscontra nei malati di Alzheimer. Il mio personale coraggio, poi, si deve al sostegno che ho sempre ricevuto, dalla famiglia agli amici e, tra questi ultimi, i colleghi di lavoro, con i quali mi sono sempre confrontata liberamente e che mi hanno sostenuto, credendo in me. Ora sono molto determinata ma affronterò comunque la ricerca con grande cautela. So che dal 2015 questi studi potranno iniziare e mi auguro che diano presto dei risultati positivi. Anche se oggi non posso avere la certezza del risultato, la sola idea di avere la possibilità di condurre una ricerca che, se andrà bene, darà un contributo significativo al trattamento dell'Alzheimer è di per sé stimolante e di grande motivazione.

Che cosa consiglierebbe a un giovane che si sta affacciando alla carriera di ricercatore?

Il progetto “L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza” ha come obiettivo il sostegno delle carriere scientifiche al femminile. Pensa che l’essere donna possa condizionare la sua carriera? Come si vede tra dieci anni?

Non posso dire di avere incontrato difficoltà per il fatto di essere donna e non mi aspetto, onestamente, di incontrarne in futuro. Non credo che questo aspetto in particolare possa essere più condizionate di altri. La mia ambizione è portare avanti la passione per la ricerca insieme alla mia vita personale e, fino a ora, posso dirmi soddisfatta su entrambi i fronti. Da qui a dieci anni, poi, sarei felice di essere ancora qui a fare ricerca e rendermi utile agli altri, con lo stesso entusiasmo.

MAGGIO 2015