Stefano Lami | Intervista a Stefano Lami, Addetto Scientifico presso l’Ambasciata d’Italia a Washington

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COLLABORAZIONE ITALIA-USA PER LA RICERCA IN FISICA FONDAMENTALE

Intervista a Stefano Lami, Addetto Scientifico presso l’Ambasciata d’Italia a Washington

elena lukev

Si è svolto a metà gennaio, alla presenza del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Stefania Giannini e dell’Ambasciatore USA in Italia, John Phillips, l’incontro bilaterale Italia-Usa per la cooperazione scientifica e tecnologica. L’incontro, che si è tenuto al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), si è concluso con la firma da parte dei rappresentanti delle delegazioni italiane e statunitensi della dichiarazione congiunta sulla cooperazione scientifica e tecnologica tra i due Paesi, per il biennio 2016-2017. In particolare, il MIUR e il Dipartimento statunitense dell’Energia (DOE) hanno firmato un’intesa tecnica di cooperazione nell’ambito della fisica nucleare riguardante le attività di ricerca svolte congiuntamente dall’INFN e dal DOE. L’intesa si riallaccia all’accordo più generale firmato a Washington lo scorso luglio, per una collaborazione che spazia su diversi fronti: dalla rivelazione dei neutrini e della materia oscura ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, allo studio dei neutrini al Fermilab di Chicago, e dei nuclei atomici al Jefferson Laboratory in Virginia; dal programma spaziale per lo studio dei raggi cosmici e dell’antimateria con i rivelatori spaziali Fermi e AMS, alla rivelazione delle onde gravitazionali con gli interferometri Virgo e LIGO, fino allo studio dei raggi cosmici di alta energia con l’osservatorio Auger, nella Pampa Argentina. Un ruolo decisivo nella definizione di questi accordi di collaborazione e di quelli futuri è ricoperto dall’Ambasciata italiana a Washington e dal suo addetto scientifico, Stefano Lami.

Sebbene l’orizzonte delle collaborazioni per la ricerca si sia notevolmente esteso in questi ultimi anni, la relazione con gli USA resta il cardine delle collaborazioni internazionali dell’INFN. Su che cosa si fonda, a suo parere, questo rapporto privilegiato?

La cooperazione bilaterale fra Italia e Stati Uniti ha certamente trovato nel settore tecnico-scientifico, dal dopoguerra a oggi, un solido sostegno per una lunga e forte amicizia; una collaborazione che è stata meglio definita e incentivata dal primo accordo inter-governativo del 1988. Nel campo della fisica, in particolare, il proficuo scambio di know-how tra laboratori nazionali coinvolti in progetti comuni ha rafforzato negli anni - tra le relazioni internazionali dell’INFN - un rapporto di collaborazione privilegiato con gli USA. L’Ufficio Scientifico dell’Ambasciata di Washington lavora per facilitare queste relazioni, ospitando periodicamente riunioni fra il management dell'INFN e quello del DOE e della National Science Foundation (NSF) statunitense, realizzando convegni e seminari e sostenendo la preparazione di nuovi accordi. Con NSF stiamo ora cercando di estendere a una partnership internazionale progetti comuni con l’INFN. Per lo studio di segnali cosmici molto deboli o, come nel caso della materia oscura, di natura incerta, è diventata sempre più stringente la necessità di favorire la creazione di osservatori globali, con lo scambio di competenze ma anche la condivisione dei dati scientifici. A questo scopo, è in programma nelle prossime settimane l’approvazione di una lettera d’intenti tra INFN e NSF per la partecipazione congiunta a una Partnership for International Research and Education (PIRE) su linee di ricerca di interesse comune, tra le quali, proprio le ricerche sulla materia oscura e sulle onde gravitazionali. In quest’ultimo caso, in particolare, il programma mira a facilitare la condivisione dei dati e le prospettive di R&D congiunte tra le comunità di LIGO e Virgo per la preparazione degli interferometri di terza generazione.

Come si configura l’attuale strategia USA nel campo della fisica delle particelle?

Dopo la chiusura degli acceleratori PEP-II a SLAC (Stanford Linear Accelerator, ndr) e del Tevatron al Fermilab di Chicago e l’attrazione di molti fisici americani verso LHC al CERN, il rapporto P5 (Particle Physics Project Prioritization Panel), uscito nel maggio 2014, ha definito per i successivi dieci anni la strategia per mantenere negli USA una linea di ricerca di alta qualità ottimizzando gli investimenti. Alta priorità è stata data alla fisica dei neutrini e al rilancio del laboratorio Fermilab: sia con il fascio di neutrini della nuova Long-Baseline Neutrino Facility, indirizzato verso un laboratorio sotterraneo a Sanford, nel South Dakota, sia con due grandi esperimenti per lo studio dei muoni, Muon g-2 e Mu2e. L’INFN è presente in tutti questi progetti. A questo proposito, è significativa la dichiarazione resa al Senato USA durante una testimonianza sul rapporto P5 dal direttore di Fermilab, Nigel Lockyer, secondo la quale “l’Italia rappresenta il suo più importante partner internazionale”.

Quali sono secondo lei le peculiarità dei sistemi di ricerca italiano e statunitense? Quali i vantaggi che i due paesi possono trarre dallo scambio di competenze?

Fra le più evidenti differenze direi che la ricerca negli USA riceve contributi dal settore privato percentualmente molto maggiori della ricerca in Italia. Le università statunitensi hanno un ruolo fondamentale nella ricerca e il trasferimento tecnologico è strettamente correlato ai loro progetti. Infine, sono molte le opportunità per i giovani ricercatori. Nonostante le critiche, credo che la formazione educativa offerta dalle università italiane sia ottima, a costi molto bassi rispetto agli USA. È un peccato che negli ultimi anni le prospettive per i giovani laureati o dottorati si siano così ristrette, ma forse qualcosa sta cambiando. La ricerca nella fisica delle particelle è sempre rimasta un fiore all’occhiello dell’Italia, nonostante i fondi limitati. Un po’ di osmosi delle cose positive dei sistemi di ricerca dei due paesi sarebbe auspicabile. In particolare, una maggiore sinergia tra le agenzie di ricerca è ormai indispensabile, per condividere le reciproche competenze allo scopo di ottimizzare gli investimenti. La strategia comune dovrà permettere di cogliere le migliori opportunità con le risorse disponibili che sono oggi limitate, più di quanto non fosse in passato, in entrambi i paesi.

Lo scorso gennaio è stato esteso un accordo già esistente tra MIUR e DOE per l’agevolazione dei rapporti di collaborazione per la ricerca in fisica fondamentale. Quali gli aspetti più rilevanti?

Lo scorso 14 gennaio a Roma l’INFN e il MIUR hanno firmato un’estensione specifica per la fisica nucleare di un accordo più generale siglato lo scorso luglio, che, a grandi linee, vuole venire incontro alle necessità delle future grandi collaborazioni internazionali, soprattutto in merito allo scambio di personale e materiale scientifico. Basti pensare al trasferimento del rivelatore ICARUS dai laboratori INFN del Gran Sasso (dove ha terminato il suo programma di ricerca sotto la guida di Carlo Rubbia) al Fermilab dove, con le sue 600 tonnellate di Argon liquido, diventerà parte integrante della ricerca sui neutrini del laboratorio americano. C’è ancora molto lavoro da fare; spero per esempio che i ministeri competenti possano in futuro semplificare i visti d’ingresso per i ricercatori.

I recenti accordi prevedono tra l’altro un’intensificazione della collaborazione con il Jefferson Laboratory, il più importante laboratorio americano per la fisica nucleare, che vede una notevole presenza di ricercatori INFN.

Esatto, il nuovo accordo definisce i comuni interessi dei laboratori USA e Italiani coinvolti. Fra questi c’è il Thomas Jefferson National Laboratory in Virginia, dove il recente upgrade a 12 GeV dell’acceleratore CEBAF (Continuous Electron Beam Accelerator Facility) prevede un programma di ricerca nei prossimi 5 anni che vedrà impegnati circa 60 ricercatori e tecnici INFN. Questo programma permetterà di migliorare la nostra conoscenza sulla struttura interna dei nucleoni, sulla loro interazione e sul meccanismo di confinamento dei quark. Si tratta di un approccio importante per l’indagine delle strutture di fisica fondamentale a energie intermedie - con l’utilizzo di un fascio ad alta luminosità di elettroni - complementare a quanto fatto ad alte energie, al CERN. Come per gli esperimenti di LHC, infatti, l’obiettivo è quello di sondare i limiti del Modello Standard per individuare eventuali segnali di nuova fisica.

GENNAIO 2016