Cristian Galbiati | Intervista a Cristian Galbiati, professore di fisica all’Università di Princeton e coordinatore dell’esperimento DarkSide.

TECNOLOGIE INNOVATIVE PER LA CACCIA ALLA MATERIA OSCURA AI LABORATORI DEL GRAN SASSO

Intervista a Cristian Galbiati, professore di fisica all’Università di Princeton e coordinatore dell’esperimento DarkSide.

intervista galbati

L’esperimento DarkSide, installato dal 2011 ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'INFN, ha da poco presentato i primi risultati sull’efficacia di un’innovativa tecnologia per la rivelazione della materia oscura, che fa uso di argon estratto da giacimenti sotterranei. Abbiamo intervistato Cristian Galbiati che coordina l'esperimento.

Ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, protetti dai 1400 metri di roccia della montagna per schermarsi dai raggi cosmici, sono attivi diversi esperimenti per la ricerca della materia oscura. Altri sono in corso in diversi laboratori nel mondo. Che cosa differenzia questi esperimenti?

I rivelatori oggi in funzione per la ricerca diretta della materia oscura hanno come obiettivo quello di rivelare gli urti delle particelle di materia oscura sui nuclei del materiale utilizzato come massa bersaglio o, in alcuni e limitati casi, degli urti sugli elettroni. Tra le varie tecnologie in uso, i rivelatori bolometrici con cristalli puri come massa bersaglio spiccano per la loro bassa soglia di rivelazione, tuttavia la loro costruzione e qualificazione è molto dispendiosa e onerosa e rende poco appetibile la costruzione di rivelatori molto grandi con questa tecnica. Se da un lato i rivelatori con massa bersaglio nella forma di gas nobili condensati hanno una soglia di rivelazione intrinsecamente più alta, dall’altro consentono di purificare continuamente la massa bersaglio e di rimuovere da essa le contaminazioni radioattive. Inoltre le difficoltà connesse con il programma di espansione dei rivelatori, necessario per avanzare il programma di scoperta della materia oscura, sono sensibilmente minori. L’esperimento italiano DAMA (DArk MAtter experiment) - che utilizza cristalli scintillanti di ioduro di sodio – merita una menzione a parte: i suoi risultati hanno evidenziato una modulazione stagionale del segnale, che potrebbe essere dovuta a interazioni di materia oscura oppure a fondi sperimentali di altra natura, ad oggi ignoti o incompresi. Ci auguriamo che in un futuro prossimo il segnale di DAMA sia verificato in modo indipendente da esperimenti che fanno utilizzo della stessa tecnologia, per essere validato oppure no. È l’essenza stessa del metodo scientifico: “Provare e riprovare”, diceva Galileo.

Lei coordina la collaborazione internazionale DarkSide, un esperimento di nuova generazione per lo studio della materia oscura, installato dal 2011 ai Laboratori del Gran Sasso. Qual è l’aspetto più innovativo del rivelatore?

La vera e propria arma segreta di DarkSide è l’argon depleto, cioè impoverito dell’isotopo di massa 39 (39Ar), un isotopo prodotto nell’atmosfera dai raggi cosmici, che è radioattivo e che “sporca” l’argon estratto dall’atmosfera. Quando quasi dieci anni fa siamo partiti con questa avventura, inizialmente nell’esperimento WARP (Wimp Argon Programme), sempre ai Laboratori del Gran Sasso, ci siamo fin da subito resi conto che la chiave del successo futuro dell’esperimento risiedeva nella capacità di acquisire grandi quantità di argon depleto. Il problema che ci trovammo ad affrontare era che l’unica modalità di produzione commerciale, vale a dire la separazione isotopica tramite centrifughe, risultava di costi esorbitanti, dell’ordine di 50.000 euro al chilogrammo, e tempi di produzione biblici. Per questo siamo partiti con un progetto innovativo di estrazione dell’argon da giacimenti sotterranei. L’argon di DarkSide è molto più puro del gas atmosferico, dal punto di vista del contenuto in radioattività, poiché è stato protetto per milioni di anni dalla crosta terrestre e non ha subito il bombardamento da parte dei raggi cosmici. Questa purezza abbassa di molto il rumore di fondo, aumentando notevolmente la sensibilità del rivelatore e permettendo la costruzione di rivelatori molto più grandi. L’altro elemento che contribuisce a rendere DarkSide totalmente innovativo rispetto ai precedenti esperimenti che fanno uso di gas liquido è il fatto che la nostra è l’unica collaborazione mondiale ad autoprodurre il gas utilizzato come rivelatore, estraendolo dalle viscere della Terra. La gran parte delle unità di processo necessarie per la produzione sono state disegnate da fisici o ingegneri italiani. Questi due fattori sono motivo di profondo orgoglio per la collaborazione intera. La prima generazione di DarkSide sta operando da inizio aprile con i primi 150 kg di argon depleto, estratti da una miniera dismessa al confine tra New Mexico e Colorado. I risultati sono eccellenti e sono stati presentati per la prima volta al Comitato Scientifico dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso lo scorso 28 aprile.

Nei giorni scorsi i ricercatori dell’esperimento AMS, installato sulla ISS, hanno annunciato la rivelazione di un nuovo segnale che potrebbe essere riconducibile a collisioni tra particelle di materia oscura. Se l’origine “oscura” fosse confermata, che implicazioni avrebbe sulla vostra ricerca?

Si tratta di risultati estremamente interessanti, di interpretazione non immediata. Siamo in fervente attesa di ulteriori elementi da parte dei colleghi sperimentali e teorici che possano contribuire alla piena comprensione e valutazione del significato di questi importantissimi dati. Il nuovo fenomeno osservato nei raggi cosmici da AMS potrebbe essere dovuto a una prima manifestazione della natura particellare della materia oscura, e in questo caso ulteriori e più estese misure realizzate con la stessa tecnica potrebbero fornire una indicazione precisa sulla massa delle particelle della materia oscura, orientando conseguentemente tutti gli altri esperimenti, inclusi quelli attivi ai Laboratori del Gran Sasso, a ricercare la materia oscura in un intervallo definito di massa. Oppure il nuovo fenomeno potrebbe essere dovuto a nuovi e inesplorati meccanismi di generazione dei raggi cosmici e in questo caso nuovi esperimenti, che cercheranno di verificare con più precisione i risultati di AMS e dell’altro satellite dedicato PAMELA (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light-nuclei Astrophysics), potranno dare ulteriori contributi a un ramo nobile della fisica delle particelle che tanto deve alla scuola italiana e all’INFN in particolare.

La sua attività si svolge a cavallo tra due centri di ricerca d’eccellenza a livello mondiale, l’Università di Princeton e l’INFN. Immagino che lo scambio di competenze e di attitudine culturale tra ricercatori dei due continenti sia un forte incentivo all’innovazione delle idee e dei metodi della ricerca.

L’esperienza sui due lati dell’oceano è stata fondamentale per la mia crescita professionale. Gli anni formativi per la fisica di base sono stati quelli di Milano e del Gran Sasso, nel gruppo di Gianpaolo Bellini. A Princeton, nel gruppo diretto da Frank Calaprice, ho acquisito esperienze complementari e cruciali nel disegno e nell’ingegnerizzazione di apparati. La collaborazione su progetti INFN ai Laboratori del Gran Sasso è da sempre il filo conduttore, mai interrotto, della mia carriera. Noto che nei media italiani si parla spesso di “cervelli in fuga” e ritengo quest’espressione una sineddoche mal riuscita. La comunità dei fisici delle particelle, per esempio, è una delle più internazionalizzate e i giovani fisici italiani sono veri cittadini del mondo. Sono abituati a confrontarsi con problemi difficili e a cogliere le occasioni più fruttifere per le loro carriere e per l’avanzamento della loro cultura, motivati e supportati dal livello eccellente della preparazione che ricevono nei dipartimenti Universitari italiani e nelle sezioni INFN collegate. Girare i laboratori del mondo per credere.

APRILE 2015