Massimo Florio | Intervista all’economista Massimo Florio, professore dell’Università degli Studi di Milano

LHC: ANALISI ECONOMICA DEL RAPPORTO COSTI - BENEFICI AL 2025 E OLTRE

Intervista all’economista Massimo Florio, professore dell’Università degli Studi di Milano

elena lukev

Ad aprile il CERN di Ginevra e l’INFN hanno organizzato la FCC Week, un convegno internazionale che ha visto riuniti a Roma attorno al tavolo di lavoro 450 scienziati di tutto il mondo per discutere il concept del Future Circular Collider (FCC). Al convegno ha partecipato l’economista Massimo Florio, professore dell’Università Statale di Milano, che ha lavorato al primo studio sull’impatto di un’infrastruttura di ricerca scientifica. Lo studio Cost-benefit analysis of the Large Hadron Collider to 2025 and beyond si è concluso nel luglio 2015 con un’indicazione a favore dei benecfici verso i costi.

Professor Florio, qual è il contesto da cui prende origine il vostro studio sull’impatto di una grande infrastruttura di ricerca come LHC?

Tre anni fa è uscita una call della Banca Europea degli Investimenti (BEI, European Bank of Investments), che ha un proprio programma di grant dedicato alle Università su temi di interesse per la BEI. Abbiamo così formato una squadra di esperti, una ventina di persone, provenienti dai dipartimenti di economia e di fisica dell’Università Statale di Milano, e dal Centre for Industrial Studies (CSIL), tra cui economisti, statistici, fisici e professionisti con esperienza di analisi su infrastrutture tradizionali, come ponti, autostrade o ferrovie, che hanno collaborato alla formulazione delle linee guida della Commissione Europea in materia, fin dal 1994, anno della loro prima edizione. Le linee guida europee, però, non includevano in precedenza capitoli specifici dedicati alle metodologie di analisi sui costi e i benefici delle infrastrutture di ricerca. Quindi il lavoro di analisi che abbiamo condotto su LHC è stato il primo studio su questa tipologia di grandi infrastrutture. Nel nostro studio abbiamo deciso di proporre due case study: abbiamo preso in esame due macchine analoghe, cioè due acceleratori di adroni, uno utilizzato per la ricerca di base, il Large Hadron Collider del CERN, appunto, e uno impiegato per applicazioni, in particolare in ambito medico, il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia, dove l’acceleratore viene utilizzato per la cura dei pazienti affetti da tumori non trattabili con la radioterapia convenzionale. Abbiamo quindi provato ad applicare un approccio metodologico per due casi, diversi ma che prevedono l’impiego della stessa tipologia di macchina, anche se ovviamente su scala differente e con obiettivi differenti. Come dicevamo, eravamo consapevoli che, poiché le linee guida già esistenti non includevano un capitolo specifico su queste infrastrutture, dovevamo sviluppare una metodologia nuova. Così, siamo partiti da un modello concettuale che abbiamo elaborato nel corso del primo anno di lavoro, mentre i due anni successivi li abbiamo dedicati ad analizzare nel dettaglio questi due case study. La BEI era interessata a questo nostro studio perché nel corso degli anni più recenti ha iniziato a ricevere numerose richieste di finanziamento per la realizzazione di infrastrutture di ricerca, per cui necessita di strumenti per potere effettuare le proprie analisi di impatto, analogamente a quanto fa per altri progetti di grandi infrastrutture.

Quali considerazioni avete fatto per individuare le metodologie da utilizzare per la valutazione dell’impatto?

Quello che abbiamo fatto nel nostro studio è applicare al contesto delle infrastrutture di ricerca una serie di metodologie già note ma che non erano mai state combinate fra loro in questo specifico modo. In particolare, abbiamo analizzato i costi, o più precisamente l’aggregazione dei costi che fanno capo a soggetti diversi tra loro. Il sistema nel caso di LHC è estremamente complesso: bisogna considerare per esempio i costi di realizzazione dell’acceleratore, degli esperimenti, le forniture in kind. Il lavoro sui costi è stato, quindi, molto impegnativo, nonostante ci sia stata grande disponibilità del CERN nel mettere a nostra disposizione tutte le informazioni necessarie. Successivamente, abbiamo valutato i benefici. Qui abbiamo distinto tra user benefit e non user benefit, cioè tra i benefici dei diretti utilizzatori della macchina e i benefici per la società civile. Abbiamo così considerato il principale sistema di misurazione di output scientifico, cioè le pubblicazioni su riviste specialistiche, i benefici a lungo termine per studenti e post-doc, cioè per i giovani ricercatori, e i benefici derivanti da quello che chiamiamo “turismo scientifico”, cioè i visitatori del CERN, che sono ogni anno circa 100 mila, considerando quindi l’infrastruttura come un polo culturale, come un museo o un sito archeologico, o una città della scienza. Per ciascuna di queste componenti abbiamo impiegato metodologie di analisi economica.

Qual è innanzitutto l’impatto dei benefici sui diretti utilizzatori dell’infrastruttura?

Per quanto riguarda le pubblicazioni e gli output scientifici, l’impatto è relativamente piccolo rispetto ad altri benefici perché, pur trattandosi di grandi collaborazioni internazionali se confrontate con altri settori della ricerca, il numero degli user rimane comunque limitato. Il beneficio maggiore si ha, invece, sulle carriere dei giovani ricercatori. Avevamo bisogno di un orizzonte temporale, quindi abbiamo preso come data di riferimento il 2025, quando prenderà il via il progetto High Luminosity LHC (vd. intervista a Lucio Rossi su Newsletter14, agosto 2015, ndr). In questa prospettiva, se consideriamo tutte le coorti di dottorandi e post-doc, arriviamo a circa 36 mila giovani ricercatori. Poiché possiamo valutare che gli effetti si manifestino per circa 35 anni di attività, allora il fatto di includere nel proprio curriculum vitae questa esperienza produce complessivamente un impatto considerevole. Abbiamo condotto interviste a 400 persone tra attuali studenti ed ex, chiedendo loro su una data scala a quale range posizionavano “l’effetto LHC” sulle loro carriere, ed è emerso un effetto positivo significativo, e convergente tra studenti ed ex. Per quanto riguarda le imprese, invece, abbiamo fatto un calcolo sui profitti incrementali derivanti dal potenziale di vendite incrementali di tecnologie messe a punto per LHC, cioè l’impatto dovuto all’essere entrati nella filiera della fornitura di tecnologie avanzate. In questo caso avevamo a disposizione anche precedenti indagini svolte dal CERN, sulla base delle quali si è potuto concludere che per un euro di forniture di alta tecnologia al CERN vi erano 3 euro di ulteriori vendite per altri clienti. Abbiamo considerato gli anni dal 1991 fino al 2013 considerando oltre mille imprese. Per un totale di 333 fornitori del CERN, abbiamo potuto valutare la storia dei bilanci aziendali prima e dopo l’evento della fornitura. Qui abbiamo rilevato uno scarto tra le imprese hi-tech e quelle tradizionali, com’è anche ovvio: nel caso delle imprese hi-tech abbiamo misurato un effetto statisticamente significativo e positivo sui profitti. Tra le altre cose abbiamo anche considerato il consistente impatto sociale che si è avuto nel settore del calcolo, grazie alla messa a disposizione gratuitamente di software avanzato a migliaia di utenti, anche nell’industria e negli ospedali. Per quanto riguarda, infine, gli effetti che potremmo definire “culturali”, abbiamo utilizzato un metodo che viene impiegato negli Stati Uniti per i parchi naturali: il cosiddetto travel cost method, che potremmo sintetizzare riflettendo sul fatto che, quando un visitatore si reca a visitare un bene culturale, come per esempio un museo, il suo impatto non è dato tanto dal costo del biglietto per accedere al luogo, ma da tutto ciò che fa prima, durante e dopo la sua visita. Nell’analisi abbiamo poi considerato gli effetti ad ampio spettro, abbiamo considerato per esempio anche le mostre itineranti realizzate dal CERN, le visite ai siti web e l’impatto dei media.

È parte della vostra valutazione anche l’impatto dei benefici per la società civile.

I benefici su chi non fruisce direttamente dell’infrastruttura, i non user benefit, concettualmente sono di due tipi. Il primo riguarda il potenziale di una scoperta scientifica: cioè quello che essa porta con sé quanto a impieghi futuri. Ma chiederci oggi che cosa potremmo fare domani con il bosone di Higgs crea confusione e retorica. Sono gli scienziati stessi che ci dicono che questo fattore non è valutabile, non è possibile fare una sua analisi costi-benefici. Quindi noi abbiamo deciso di assegnargli come valore 0, ciò significa che noi consideriamo il suo impatto per adesso imprevedibile, ma certamente non negativo. Il secondo riguarda la disponibilità a pagare anche da parte di chi non ha nessun interesse a usare l’infrastruttura. Faccio un esempio noto: il panda. Ci sono persone disposte a pagare per vederlo ma c’è anche chi è disposto a pagare solo per sapere che esiste, per preservarlo dall’estinzione: questo viene chiamato willingness-to-pay dei non user, existence value. In questo caso abbiamo realizzato un esperimento con mille studenti (anche di corsi non scientifici) di quattro università europee, due in gradi città (Milano e Parigi) e due in città minori (Exeter e A Coruna in Spagna), sulla loro disponibilità a pagare per l’esistenza, in questo caso, di un grande progetto di ricerca, LHC appunto. Per concludere, nel complesso del nostro studio abbiamo estratto media e distribuzione della differenza attualizzata di benefici e costi (net present value), utilizzando per il calcolo della distribuzione di probabilità metodi Monte Carlo, noti anche nel mondo dei fisici, e abbiamo ottenuto che la probabilità che i benefici superino i costi è pari al 90%.

Avete individuato dei fattori di debolezza in progetti per grandi infrastrutture di ricerca?

Per le grandi infrastrutture, dai trasporti all’energia e all’ambiente i governi adottano procedure codificate di analisi costi-benefici sociali. Per le infrastrutture di ricerca il processo decisionale è frammentario, impostato su criteri ad hoc intrinseci, come le ragioni scientifiche, per cui è difficile svolgere un’analisi sistematica. Ma, poiché la società civile paga il conto attraverso le imposte, è necessario anche un impegno per rendere più trasparente il processo decisionale e condurre una valutazione dell’impatto sociale. È un criterio complementare a quello scientifico, ma necessario, anche perché c’è competizione fra diversi progetti.

Ritenete che l’approccio che avete impiegato per questo studio si possa applicare anche ad altri casi?

Sì, noi pensiamo che questa metodologia si possa utilizzare anche per nuove infrastrutture, tant’è che ESFRI (European Strategy Forum on Research Infrastructures) nel suo ultimo rapporto (Strategy Report 2016) ci cita, e sottolinea che nell’ambito in discussione vi sono dei progressi e apre allo studio di queste metodologie di analisi costi-benefici. Inoltre l’edizione 2014 della Guide to Cost-Benefit Analysis della Commissione Europea ora ha un capitolo che abbiamo scritto noi su questo tema.

Avrete l’incarico da parte del CERN di fare una valutazione analoga anche per il progetto FCC.

Stiamo ragionando su questo incarico. La nostra idea è di applicare ciò che abbiamo imparato svolgendo lo studio per LHC, anche se in questo nuovo caso, chiaramente, dovranno essere adottati criteri e accortezze particolari trattandosi di una valutazione completamente ex ante, con una varietà di scenari possibili, dal momento che la comunità scientifica è ancora alla fase di discussione del concept del progetto. Lavoreremo anche questa volta con un gruppo di economisti e fisici, con un gruppo di coordinamento in cui sono rappresentati CERN, Università di Milano e CSIL, nel quadro più ampio del FCC Study, anche considerando le prospettive di LHC High Luminosity. L’approccio interdisciplinare è molto stimolante e fruttuoso.

APRILE 2016