GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE DONNE E DELLE RAGAZZE NELLA SCIENZA: PERCHÉ NE ABBIAMO ANCORA BISOGNO | Intervista a Lucia Votano

Intervista a Lucia Votano, dirigente di ricerca emerita dell’INFN, dal 2009 al 2012 direttrice dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, membro della collaborazione JUNO per la realizzazione di un osservatorio sotterraneo di neutrini nella Cina meridionale.
 
lucia votano

I Science, She Science, We Science, be Innovative, Be Creative, Be a Leader, for the People, for the Planet” è il motto dell’edizione 2022 della Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, celebrata lo scorso 11 febbraio e istituita sette anni fa dall’ONU con l’obiettivo di facilitare il superamento del divario che ancora esiste nel mondo della ricerca scientifica, dove gli uomini sono ancora in netta maggioranza e accedono in percentuale ancora maggiore alle posizioni apicali. Ad oggi, rileva l'ONU, le donne sono il 33,3% dei ricercatori e sono presenti solo per il 12% nelle Accademie scientifiche. Sebbene stia progressivamente aumentando il numero delle ricercatrici, in assenza di un incisivo cambio di tendenza questa disparità promette di mantenersi ancora a lungo, considerando quanto poco le donne siano rappresentare in settori emergenti, come l'intelligenza artificiale, dove solo un professionista su cinque (22%) è una donna, e sono ancora poche le donne che si laureano in ingegneria (28%) e in informatica (40%). Il problema è diffuso anche in Italia, dove solo il 16% delle ragazze si laurea in facoltà scientifiche contro il 37% dei ragazzi. 

In occasione della Giornata, lo scorso 11 febbraio, decine di iniziative sono state proposte anche in Italia da parte di istituzioni e centri di ricerca, come l’INFN, con eventi organizzati in numerose delle sue sezioni locali e laboratori nazionali, l’Università dell'Aquila, il Gran Sasso Science Institute (GSSI), l’European Gravitational Observatory (EGO), la Fondazione Bruno Kessler con l’Università degli Studi di Trento e il TIFPA dell'INFN, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), e tantissime altre organizzate da associazioni, con incontri e confronti online sui temi della disparità. L’INFN ha inoltre aderito alla campagna social #WomenInScience cui hanno partecipato grandi laboratori internazionali come il CERN.
Abbiamo chiesto a Lucia Votano, dirigente di ricerca INFN, che per tre anni ha diretto i Laboratori Nazionali del gran Sasso, di fare con noi il punto in tema della parità di genere nel campo della scienza.
 
Quali sono gli stereotipi di genere che ancora oggi condizionano l’accesso delle donne alla carriera scientifica e il riconoscimento dei loro meriti?
Osservando la società italiana riguardo alla combinazione delle due parole scienza e donne, sono convinta che la lista degli stereotipi sia piuttosto lunga, e che occorra avere occhio e mente allenati per riconoscerli. Possiamo dividerli in più categorie che alle volte si combinano con effetti anche umoristici. 
Partirei elencando in ordine gerarchico i pregiudizi contro la scienza. Innanzitutto, cultura e scienza sono normalmente menzionate in modo distinto e persino la Costituzione distingue tra cultura e ricerca scientifica. In secondo luogo, la scienza, specie se di base, è considerata un ambito di nicchia, anche di pregio, ma riservata a persone con cervello diverso dal normale, e con un impatto poco rilevante sullo sviluppo economico e sociale di una nazione o sulla costruzione del pensiero europeo nel corso dei secoli. Da ultimo, nell’elenco dei principali pregiudizi contro la scienza, lo studio della matematica e della fisica nelle scuole di ogni ordine e grado è giudicato difficile e noioso, oltre che non essenziale per la formazione, tanto che eminenti intellettuali si possono fregiare impunemente di non capirci nulla.
Ora, se queste sono le premesse generali, che riguardano tutti, e questo è il livello di valorizzazione sociale della scienza, figuriamoci se di scienza e tecnica si devono occupare le donne cui da piccole si regalano bambole e carrozzine, quasi mai il microscopio o un cannocchiale e nemmeno un videogioco.
Ne siamo probabilmente assuefatti, ma con un po’ di attenzione chiunque può notare il tono didascalico o ironico con cui alcuni uomini si rivolgono alle donne quando si parla di argomenti anche vagamente tecnici, considerati di ambito maschile. E quante volte ci si rivolge alle donne in ambienti lavorativi apostrofandole come “signore” invece che “dottoresse? 
Tutti dovremmo tenere a mente una regola d’oro: chiedere sempre alle donne che incontriamo di cosa si occupano, come prima domanda, dando per scontato che possano avere una professione e una formazione anche superiore alla nostra, come si fa abitualmente quando ci si rivolge a un uomo. Infine, come dimenticare quanto abbiamo sentito tutti dichiarare di recente da esponenti della politica italiana: “Al Quirinale proponiamo una donna macapace”. E la lista degli esempi sarebbe molto più lunga.
 
La sua storia di ricercatrice di successo, che ha raggiunto una posizione apicale nel suo campo, dimostra che gli stereotipi di genere possono essere abbattuti. Quali difficoltà ha incontrato e che cosa comporta, anche dal punto di vista della gestione della vita privata, essere a capo di un grande centro di ricerca come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso?
 Penso di essere stata fortunata. Sono cresciuta, pur vivendo negli anni ’50 nel profondo Sud, in una famiglia in cui si dava per scontato che le donne potessero laurearsi e affermarsi professionalmente seguendo le proprie inclinazioni. Inoltre, mio padre, medico e appassionato di ricerca, ogni tanto ci illustrava qualche novità, come accadde ad esempio quando fu scoperto il DNA.
Un altro evento fortunato è stato l’incontro con una giovane supplente di fisica che riuscì a farmi intuire il fascino di questa materia durante alcune lezioni private che ho seguito alle soglie della maturità, conscia che per i cinque anni del Liceo Classico il professore di matematica e fisica non ci aveva insegnato nulla.
Infine, sono riuscita a conciliare l’impegno di ricercatrice con quello familiare grazie al continuo sostegno di mio marito e al supporto dei familiari, e anche grazie alla pazienza di mio figlio. Adesso sono anche nonna e vedo che dopo la mia generazione, che ha allargato un po’ la strada, le giovani ricercatrici non rinunciano più a una vita affettiva piena se lo desiderano. Non è certo facile ma si può riuscire.
Sicuramente le difficoltà aumentano con il crescere delle responsabilità ed è questa una delle molte cause della segregazione verticale che tiene più lontane le donne dalle posizioni apicali.
Nel caso della mia direzione del Laboratorio del Gran Sasso, ho potuto dedicare a questo complesso lavoro tutto il tempo necessario perché ci sono arrivata solo alla fine della carriera - probabilmente un esempio della segregazione verticale che citavo prima - quando la difficoltà della conciliazione professione-famiglia si era alleviata. 
 
L’accesso alla carriera scientifica da parte delle donne sta conoscendo negli ultimi anni un trend positivo. Tuttavia, le donne nella scienza sono ancora in numero largamente inferiore rispetto agli uomini e ancora meno sono le donne che ottengono ruoli di leadership. Che ruolo dovrebbero interpretare le donne in questo processo? E chi altro dovrebbe farsi carico di questo tema e con quali azioni?
 Le donne devono prendere su di sé e diventare le protagoniste di una battaglia a favore di una svolta epocale che in Italia deve riguardare gli investimenti nella ricerca, nell’istruzione e nella formazione. Nonostante ci sia stata negli ultimissimi anni un’inversione di tendenza, negli ultimi venti anni l’interesse dei vari governi su questi temi è andato complessivamente decrescendo di pari passo con la diminuzione degli investimenti. Anche l’industria italiana ha le sue responsabilità avendo da sempre scarsissima propensione per l’investimento nella ricerca applicata e di processo. Siamo quasi gli ultimi in Europa e tra i Paesi dell’OCSE per investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo. Il risultato netto è che il sistema produttivo italiano sforna prodotti e servizi a medio/basso contenuto di innovazione, pur essendo parte di quell’economia globale della conoscenza che vede nella produzione di nuovo sapere il motore primario dello sviluppo e del processo di abbattimento delle disuguaglianze. 
L’Italia è il paese con una delle più basse percentuali di laureati e di ricercatori, soprattutto nelle materie scientifiche. Per di più, circa 20mila giovani laureati abbandonano ogni anno l’Italia per trovare lavoro all’estero. E lo stesso accade spesso anche con i nostri ricercatori.
Se l’Italia diventasse un Paese più accogliente per la scienza, anche le donne, che in tutti i settori rappresentano un anello debole della catena sociale, potrebbero avere migliori opportunità.
Il problema è troppo serio e con un forte impatto diretto sulle donne perché possa essere lasciato nelle mani dei soli uomini! E l’Italia non può correre se metà del suo capitale umano, quello femminile, non è valorizzato al meglio.
È giusto quindi che le donne rivendichino misure specifiche per l’ottenimento delle pari opportunità nel mondo del lavoro, e della ricerca scientifica in modo particolare, ma devono anzitutto chiedere a gran voce una svolta molto più decisa negli investimenti nella ricerca e nella qualità della formazione. Il problema va affrontato alla radice.
 
La fisica delle particelle, di cui si occupa come ricercatrice, offre oggi frontiere da abbattere per incrementare il nostro livello di conoscenza dell’universo. Alcune particolarmente sfidanti, come lo studio della materia oscura o la struttura del cosmo in generale. Pensa che la partecipazione di un maggior numero di donne competenti possa contribuire a estendere lo spettro delle idee, dei metodi e degli strumenti potenzialmente utili ad abbattere queste frontiere?
Anzitutto è ovvio che i risultati sono in qualche modo proporzionati all’attività di ricerca che si conduce, purché ovviamente sia buona ricerca, competitiva su scala internazionale. Quindi più donne, più ricerca, più risultati. Capisco però che la domanda sottintende altro. 
Non ci sono, che io sappia, basi scientifiche per affermare che la ricerca scientifica perseguita da una donna segua percorsi differenti da quelli degli uomini, e ovviamente, neanche a dirlo, una minore potenzialità delle donne, o degli uomini, nelle scienze dure. Tuttavia, siamo effettivamente diversi e abbiamo anche esigenze di vita diverse. Non escludo quindi che le donne possano avere approcci differenti nelle interazioni con i colleghi, nell’organizzazione del lavoro, soprattutto quando si assumano delle responsabilità o in generale nell’affrontare i problemi. Anzi è bene che ad esempio le donne non scimmiottino troppo la gestione del potere degli uomini.
In ogni caso viva la diversità: è un valore che arricchisce la società e va coltivato.
 
Che cosa consiglierebbe a una giovane studentessa con interesse per la scienza, che oggi dovesse scegliere il suo percorso di studi? 
 Consiglio alle giovani studentesse di seguire fino in fondo con costanza e determinazione le proprie inclinazioni e passioni, di avere fiducia in se stesse, di mettere sullo stesso livello di valori la vita affettiva e lo sviluppo di un’attività professionale.
Non è facile ma ci si può riuscire e il mestiere di ricercatrice può essere appagante e divertente.
Il lavoro è parte essenziale della vita delle donne e degli uomini, tutti dovrebbero avere pari opportunità di sviluppare intelletto e capacità per avere accesso a un’occupazione soddisfacente da tutti i punti di vista. 

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