Intervista a Federica Fabbri, ricercatrice dell’Università di Bologna e dell’INFN, vincitrice dell’edizione 2024 del premio “L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza”.
La specializzazione in fisica subnucleare all’Università di Bologna, l’attività di ricerca a Gottinga, al CERN di Ginevra e a Glasgow, la vittoria della prestigiosa European Marie Curie Fellowship che l’ha riportata in Italia: Federica Fabbri, a 34 anni, è già un punto di riferimento mondiale per i suoi studi sul quark top. Studi che le sono valsi l’assegnazione del premio L'Oreal Italia-UNESCO per le Donne e la Scienza 2024, un’iniziativa che da 22 anni sostiene le giovani ricercatrici “che contribuiranno a plasmare il futuro del progresso scientifico”. Ad oggi, sono state premiate 112 scienziate italiane e quest’anno, a fronte di 260 candidature, sono stati assegnati 6 premi del valore di 20.000 euro ad altrettante scienziate under 35 attive nei campi delle Scienze della Vita e della Materia, con lo scopo di favorirne e supportarne il lavoro di ricerca e la crescita professionale, e promuovere l’essenziale ruolo dalle donne all’interno dell’impresa scientifica. Federica si è aggiudicata il finanziamento grazie al brillante curriculum e a un progetto in particolare, Exploring quantum observables at LHC, che si propone di rispondere alle domande irrisolte sull'universo percorrendo una direzione inesplorata, a cavallo tra la teoria quantistica dell’informazione e la fisica delle particelle. Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua ricerca e gli ambiziosi obiettivi che la animano.
Da dove nasce l’idea per Exploring quantum observables at LHC?
Dalle molte domande ancora aperte sul modello standard: qual è la sorgente della materia oscura, perché c’è un così grande divario in massa tra le varie particelle, perché ha vinto la materia rispetto all'antimateria. Finora, i metodi classici per cercare nuova fisica non hanno avuto successo nel trovare delle risposte. Perciò abbiamo pensato di cercare soluzioni inedite, unendo due branche della fisica che non erano mai state unite prima: la fisica delle alte energie e la teoria quantistica dell’informazione.
Come funziona questo connubio?
In pratica, applichiamo tecniche che si imparano dalla teoria quantistica dell'informazione ai dati generati dalle collisioni del Large Hadron Collider (LHC), l’acceleratore del CERN. Si parte da un’unità, il qubit, che nella teoria quantistica dell'informazione rappresenta l’elemento più piccolo, come un bit in un computer, e dalle sue proprietà. Prendiamo, per esempio, l’entanglement: se due qubit sono entangled, l’azione subita da uno provoca un effetto anche sull’altro, a prescindere dalla distanza. Lo stesso concetto di entanglement può essere applicato e misurato nel caso di due particelle create da LHC. Per esempio, due top creati da LHC possono essere considerati come qubit ed è possibile misurarne l’entanglement. Ora, se ci fosse nuova fisica, qualcosa di inaspettato che risponde alle domande aperte sul modello standard, questa potrebbe modificare le correlazioni, l’entanglement tra le particelle create da LHC. Perciò noi, misurando l’entanglement e altre proprietà delle particelle-qubit, possiamo intercettare nuova fisica.
Come procedono le misurazioni?
Le misure di entanglement stanno cominciando adesso: la collaborazione ATLAS ha pubblicato dei risultati per la prima volta lo scorso anno, e quest’anno sono stati resi pubblici quelli della collaborazione CMS. È un tema che sta crescendo tantissimo, su arXiv esce un paper al giorno. Il mio progetto cerca di capire come migliorare queste misure, in quali canali cercarle, qual è il legame con la nuova fisica e come individuarlo. Insieme a Fabio Maltoni, che è uno dei pionieri in questo ambito e gestisce il gruppo di ricerca, seguiamo sia i quark top, sia altre particelle, per esempio i prodotti del decadimento del bosone di Higgs. Il problema è che moltissime particelle decadono in neutrini, e i neutrini non sono visibili nel detector, perciò al momento di effettuare le misure ci imbattiamo in un sacco di problemi tecnici.
Che tipo di problemi tecnici?
Per misurare gli angoli da cui estraiamo le informazioni sull’entanglement, è necessario ricostruire completamente lo stato finale, quindi costruire ogni singola particella presente. A livello teorico è semplice trattare un top come un qubit, applicare la teoria quantistica dell'informazione, ottenere un risultato, capire come misurare l’entanglement. Ma se andiamo in un caso realistico, il top non è più un oggetto fantastico, è un qualcosa che viene misurato nei collider, che interagisce con altre particelle e che decade in neutrini. E bisogna ricostruirlo a partire da queste particelle che non si vedono, tenere in considerazione le interazioni che ha con altre particelle, le particelle che emette, e quindi capire come applicare il modello semplificato che avevamo all'inizio alla situazione reale prodotta dal collider. La difficoltà è proprio riuscire a includere nella valutazione tutti gli aspetti che ci sono nella realtà, che poi possono essere studiati sia dal punto di vista fenomenologico, sia dal punto di vista sperimentale. Io mi sto occupando di entrambi gli aspetti.
Il progetto è incominciato nell’ottobre del 2023 e si concluderà nel 2025, ma da come lo racconta parrebbe essere solo l’inizio di una lunga esplorazione. Continuerà in questa direzione?
Sì, senza dubbio, questo ambito di ricerca è veramente interessante e ha diverse implicazioni. Per esempio, adesso si sta parlando molto della violazione delle disuguaglianze di Bell. Il concetto alla base è che se la realtà si comporta secondo la meccanica classica, ci sono delle equazioni, le equazioni di Bell, che devono essere minori di un certo valore. Ma se la realtà seguisse la meccanica quantistica, queste equazioni raggiungerebbero un nuovo valore massimo, violando il precedente. Questa violazione non è meramente teorica, è stata già misurata in moltissimi ambiti, ma mai alle energie raggiunte dai collisori, e noi speriamo di farlo usando le particelle degli acceleratori. È difficile e se ne discute animosamente in questo momento, ma se riuscissimo nella misurazione, testeremmo la natura della nostra realtà alla più alta energia possibile.
Insomma, potrebbe rispondere a molte delle domande che l’hanno avvicinata al progetto. Possiamo già immaginare delle ricadute sulla società?
Ad oggi sono ancora molto lontane, perché noi facciamo ricerca pura nell'ambito delle alte energie e immaginare a priori quale saranno le ricadute sulla società è molto difficile. Però abbiamo l'opportunità unica di studiare i qubit in un framework nuovo, a energie altissime rispetto agli altri sistemi in cui si possono creare qubit. E questo potrà avere ricadute sui computer quantistici, che sono il futuro del computing. Non posso averne la certezza, ma è una prospettiva possibile.
Concludiamo con una domanda personale: che cosa ha significato per lei vincere il premio L’Oréal-Unesco per le Donne e la Scienza?
È stata un’emozione grandissima. Cercavo di risolvere un problema tecnico su un terminale, ero completamente assorta quando è squillato il telefono e mi hanno comunicato la vittoria. Ha presente quando si perde un battito? Si cade dalla sedia? Proprio non me lo aspettavo, i bandi sono sempre molto competitivi, ci sono tanti partecipanti brillanti, è impossibile aspettarsi di vincere. Poi il premio L’Oréal è un premio importante, che sostiene sì, la ricerca, ma nello specifico sostiene la figura della donna nella ricerca. Lo scopo è proprio quello di sfondare il soffitto di cristallo, cercare di rimuovere tutte le barriere che impediscono alle donne di ricoprire ruoli di responsabilità nell'ambito della ricerca. Io non ho mai visto distinzioni di genere mentre lavoravo, ma progredendo nella carriera la percentuale di donne presenti a riunioni, cene di rappresentanza, si è andata assottigliando. E ci si domanda sempre come mai? È possibile che questo argomento interessi solamente a me come ricercatrice? Perciò è importante indagare questo limite, e superarlo.