Intervista a Claudio Gatti, ricercatore in fisica delle particelle ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, e tra gli ideatori di GravNet, il progetto vincitore di un ERC Synergy Grant da 10 milioni di euro
Lo European Research Council ha ricevuto quest’anno 548 candidature per il Synergy Grant 2024, il finanziamento che incoraggia e promuove le collaborazioni scientifiche; e ha scelto, tra i 57 progetti vincitori, GravNet, A Global Network to Search for High Frequency Gravitational Waves, una pioneristica rete per la rivelazione di onde gravitazionali ad alta frequenza. Ambizioso negli obiettivi e inedito nel metodo, questo progetto potrebbe rivoluzionare lo studio di fenomeni come le fusioni di buchi neri primordiali e la materia oscura ultraleggera, e richiederà, nel corso dei sei anni di finanziamento, competenze e risorse molto diverse, condivise tra Germania, Spagna e Italia. I quattro ricercatori alla guida di GravNet sono infatti Matthias Schott dell’Università di Bonn, Diego Blas dello spagnolo Istituto di Fisica delle Alte Energie, Dmitry Budker dell’Helmholtz Institute presso l’Università Johannes Gutenberg di Mainz, e Claudio Gatti dei Laboratori Nazionali di Frascati (LNF) dell’INFN. Abbiamo incontrato Claudio per farci raccontare il progetto, dalla sua ideazione alle prospettive per il futuro.
Che cos’è GravNet e quali obiettivi si pone?
GravNet sarà la prima rete globale di rivelatori per la ricerca di onde gravitazionali ad alta frequenza, cioè rivelatori a caccia di segnali nella banda tra i mega e i gigahertz. Se gli strumenti attuali, come LIGO e Virgo, si muovono infatti entro la banda dei 100 hertz, e gli strumenti futuri, come la missione LISA, dedicata alla rivelazione di onde gravitazionali nello spazio, puntano addirittura a frequenze più basse, GravNet si propone di sondare una regione nuova, molto interessante e molto sfidante. In effetti, sarà davvero difficile intercettare dei segnali, ma se si riuscisse, si tratterebbe di segnali primordiali, risalenti alla prima frazione di secondo dell’universo. Oggi riusciamo a guardare fino a 400.000 anni dopo il Big Bang grazie alla radiazione cosmica di fondo, e poi a risalire sperimentalmente a un secondo dopo il Big Bang, misurando la quantità di nuclei leggeri, come elio e deuterio, originatosi dalla cosiddetta nucleosintesi primordiale. Queste osservazioni ci danno già tantissime informazioni su come è avvenuto il Big Bang, ma non sappiamo nulla di ciò che è avvenuto prima. Abbiamo teorie, tanti modelli, tra i quali però non sappiamo scegliere in assenza di evidenze sperimentali. Poter incominciare a percorrere una strada che non si esaurirà nei sei anni del progetto, ma che ci porterà magari tra dieci, quindici anni, a vedere questi messaggi primordiali sarebbe importantissimo, e ci consentirebbe di scoprire come è avvenuta l'inflazione, ammesso che ci sia stata. L’argomento è ancora molto nuovo, se ne parla da non più di cinque anni. I primi workshop si sono tenuti appena prima del Covid, e ne facemmo uno, già online, su come impiegare i rivelatori in uso a Frascati per la ricerca di materia oscura leggera, per cercare queste onde gravitazionali ad alta frequenza.
Parliamo proprio di macchine. Quali tecnologie saranno impiegate?
Sicuramente le cavità a radiofrequenza, che si configurano oggi come la tecnologia più promettente per i nostri scopi. Si tratta di cavità metalliche chiuse, in cui viene accumulata l’energia sotto forma di campi elettromagnetici a radiofrequenze. Il segnale rimbalza tra le pareti della cavità, che lo amplifica, proprio come una cassa di risonanza in uno strumento musicale. Nel nostro caso, il segnale proveniente dalla fascia delle alte frequenze, dovrebbe convertirsi in fotoni in presenza di un campo magnetico intenso, per via di un effetto impronunciabile, l’effetto Gertsenshtein inverso. Questo fenomeno non è ancora mai stato osservato, per cui saremmo di fronte a un doppio risultato.
Quali informazioni potremmo trarne?
Intanto avremmo visto un'onda gravitazionale ad alta frequenza, che non ci aspettiamo originata da sorgenti astronomiche standard, come le coalescenze di buchi neri o di stelle di neutroni, che arrivano a frequenze al più di qualche chilohertz; a frequenze molto più alte, e dunque per oggetti molto più veloci, non si ha questo fondo astronomico che potrebbe nascondere i segnali primordiali. Ci sono inoltre modelli secondo cui la presenza di particolari tipi di materia oscura può generare queste onde gravitazionali. Un modello molto in voga, per esempio, prevede che la materia oscura non sia materia oltre il Modello Standard, ma materia ordinaria che è collassata durante la fase inflattiva dell'universo in buchi neri primordiali. Questi buchi neri primordiali sarebbero molto leggeri, e la loro coalescenza dovrebbe produrre onde gravitazionali ad alta frequenza, dal momento che la frequenza è inversamente proporzionale alla massa dell'oggetto. È un’ipotesi interessante e in più, si tratterebbe di un candidato valido per la ricerca della materia oscura. Ad oggi non c’è più un modello preferito in questo senso, cerchiamo la materia oscura dappertutto: cerchiamo le WIMP nei laboratori sotterranei, cerchiamo al Large Hadron Collider al CERN, cerchiamo i fotoni oscuri, gli assioni o altre particelle scalari e pseudoscalari come quelle ipotizzate dalla teoria delle stringhe. Se la materia oscura fosse costituita da questi buchi neri estremamente leggeri, non sarebbe necessario ricorrere a fisica oltre il Modello Standard per spiegarla.
Insomma, le prospettive sono molte e il tempo del progetto limitato. Qual è l’obiettivo parziale di questi sei anni e quali ostacoli si aspetta di incontrare nel raggiungerlo?
Noi non abbiamo fatto promesse, perché appunto è una strada lunga e non facile. Si tratta piuttosto di un programma, un inizio, anzi sono convinto che a essere stata premiata dall’ERC committee sia stata proprio l’intenzione di inaugurare un nuovo modo di osservare l'universo. Concretamente, speriamo di replicare quanto accaduto in campo ottico: si è cominciato con l'astronomia ottica, poi si è passati all'infrarosso, l'ultravioletto, le onde radio, e oggi l'indagine astronomica spazia dalle radioonde fino ai raggi X, quindi raggiunge energie molto più alte. Dallo spettro delle onde elettromagnetiche sono venute fuori sorgenti, tipo le pulsar, che nessuno si aspettava, ed è un po’ questo anche il nostro obiettivo: aprire una nuova finestra. Quanto alle sfide, il progetto è molto concreto, si articola in fasi ben precise. Stiamo già lavorando alla prima rete di rivelatori, perché è impossibile osservare segnali transienti senza una rete di detector sincronizzati tra loro, e partiremo proprio da qui, dall’Italia, insieme alla Germania. Sincronizzeremo le antenne esistenti, estrarremo i dati, e lavoreremo a tecniche di analisi dati per interpretare i segnali in maniera nuova. C’è parecchio lavoro da fare, ma non prevedo di incontrare grossi problemi. Mi preoccupano di più le attività che interesseranno i LNF.
Di quali attività parliamo?
I LNF saranno dotati di due antenne: una è già in funzione, QUAX, il rivelatore per la ricerca di assioni (particelle che potrebbero costituire la materia oscura), e basterà riconvertirla; l’altra è tutta da costruire. Il progetto è già in moto. Un magnete di grandi dimensioni, tre metri per due, proveniente da un vecchio esperimento di fisica delle particelle attivo sull'acceleratore DAFNE, è stato rimesso in funzione, e adesso si tratta di costruire tutti i componenti mancanti: una cavità risonante a radiofrequenza di circa quattro metri cubi di volume, un grande criostato che la porti a una temperatura vicina allo zero assoluto, e tutta l’apparecchiatura che serve per utilizzarla. Niente di trascendentale, ma si tratta comunque in un tempo limitato per scrivere il progetto, bandire la gara, iniziare la costruzione, mettere in funzione la macchina e attivare tutte le competenze del laboratorio. A ciò si aggiunge il lavoro sulla ricezione del segnale, ovvero, una volta costruita l'antenna, dotarla di dispositivi molto sensibili ai segnali elettromagnetici frutto dell’effetto Gertsenshtein.
Avete già un’idea di come affrontare questa fase successiva?
Sì, sul fonte della ricezione del segnale porteremo avanti il lavoro degli ultimi anni sui qubit superconduttivi, sensori molto sensibili, al limite del singolo fotone a microonde. L’idea che stiamo percorrendo è quella della coincidenza tra due contatori, che di solito si applica ai fototubi classici: se uno ha uno scintillatore e arriva una particella ionizzante, lo scintillatore emette dei fotoni; si dispongono allora due fototubi che vedono un po’ di questi fotoni, e se si hanno segnali da entrambi fototubi si è certi che si tratti di un vero segnale e non di rumore casuale. L’unico limite è che con questa tecnologia classica, ogni fototubo legge dei fotoni diversi, mentre nel mondo quantistico è possibile fare delle letture “non distruttive”, in cui il fotone non è assorbito e la sua presenza ha effetto sulla fase quantistica del qubit. In altre parole, si dispongono due o più qubit e si legge l’effetto del singolo fotone su tutti i qubit, evitando il rumore casuale. Ad oggi riusciamo a simulare tutto il sistema quantistico, ci siamo portati avanti, ma farlo funzionare dentro un esperimento non è banale. Insomma, due antenne, di cui una tutta da costruire, più la parte quantistica... per sei anni ne abbiamo di lavoro!
GravNet nasce quindi come collettore di tutti i suoi interessi?
GravNet nasce piuttosto da un’audace proposta di Matthias Schott, che è riuscito a vincere tutte le mie titubanze. Quando è venuto da me, io ero più orientato sugli assioni, di cui per altro si occupa anche lui. Negli ultimi dieci anni, attingendo a piene mani alle competenze già presenti ai LNF – la radiofrequenza impiegata nelle macchine acceleratrici, la criogenia da sempre in uso per i magneti, e la superconduttività, di cui era già stato inaugurato un laboratorio – mi sono dedicato a COLD, un laboratorio di criogenia e radiofrequenze. E adesso posso mettere a sistema le capacità acquisite con quelle dei miei colleghi in GravNet: Dmitry, per esempio, ha già esperienza sul fronte delle reti e della combinazione dei segnali, gestendo una rete globale di magnetometri che cercano i difetti topologici dell'universo; e Diego è stato tra i primi a scrivere di onde gravitazionali ad alta frequenza. Il fatto che avessimo tutti delle attività di ricerca così solide alle spalle ha sicuramente conferito concretezza alla proposta e giocato un ruolo chiave nell’attribuzione del finanziamento.
A proposito di finanziamento, è una cifra molto cospicua, 10 milioni di euro, sapete già come investirli?
Ovviamente. L’Italia riceverà 3,7 milioni, da investire nella riconversione dell’antenna QUAX (per la quale non richiediamo grossi fondi, essendo tutto già in funzione), e nella costruzione della nuova antenna, la spesa più ingente. Poi dovremo trovare le persone; in questo momento abbiamo quattro giovani post-doc dentro il laboratorio COLD, dedicati al setup, all’analisi dati e alla stesura degli articoli, ma avremo bisogno anche di personale nuovo, sia per la progettazione sia per la parte di computing. A ciò va aggiunta la gestione dei costi operativi dell’infrastruttura nel corso dei sei anni.
Si è detto “titubante” all’idea di proporre un progetto così ambizioso, come ha reagito alla vittoria?
Io sono per natura un po’ conservativo, ma quando mi hanno proposto l’idea in realtà ho pensato “è così folle che potrebbe vincere”. Questo tipo di progetti richiede ambizione, innovazione, ma anche fattibilità, e fattibilità non significa produrre necessariamente un risultato scientifico: si promette un percorso, lungo il quale implementare la tecnologia necessaria, e magari aprire una nuova strada. È una prospettiva entusiasmante, a cui si somma anche la soddisfazione personale. Per me, poter realizzare un progetto a cui lavoriamo da anni, e poter avviare un esperimento dentro un laboratorio nazionale dell’INFN, portando una collaborazione internazionale, è un grande orgoglio. Io sono nato qui a Frascati, professionalmente parlando, e adesso sto crescendo con i miei progetti di ricerca, i giovani che già sentono questi laboratori come loro.