Sono molti gli eventi appartenenti all’odierna fenomenologia astrofisica di cui non abbiamo ancora una piena comprensione. Tra questi, i più emblematici sono forse quelli legati all’emissione di lampi gamma, o Gamma Ray Bursts (GRB), le più potenti esplosioni cosmiche di radiazione elettromagnetica mai osservate. Tre studi pubblicati oggi su Nature, Nature Astronomy e The Astrophysical Journal Letters potrebbero tuttavia fare luce sull’origine di una parte di questi violenti fenomeni. Le ricerche, condotte da diversi team internazionali di scienziati, analizzando i dati ottenuti da sonde spaziali europee e statunitensi a seguito della rivelazione di un GRB lo scorso 15 aprile 2020, stabiliscono infatti come l’evento sia riconducibile all’eruzione di una magnetar, una stella di neutroni con un campo magnetico estremamente intenso, posizionata nelle vicinanze della Via Lattea. A effettuare la misura, anche i due rivelatori a bordo del Fermi Gamma-ray Space Telescope della Nasa, il Gamma-ray Burst Monitor (GBM) e il Large Area Telescope (LAT), collaborazione internazionale di cui l’INFN è un importante membro insieme all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e all’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).
Le conclusioni contenute all’interno dei tre articoli, presentati nel corso del recente meeting dell’American Astronomical Society (AAS) tenutosi dall’11 al 15 gennaio, rappresentano un importante passo in avanti verso l’individuazione e lo studio delle diverse tipologie di sorgenti transienti in banda gamma, come i GRB, i quali irradiano la luce più brillante dell’universo, risultato dell’accelerazione di particelle a velocità prossime a quelle della luce. Un campo d’indagine che ha fornito riscontri importantissimi nel 2017, quando la rivelazione di onde gravitazionali e, successivamente, di un GRB fu associata alla prima fusione di stelle di neutroni mai osservata dalla collaborazione Ligo-Virgo. L’analisi condotta sui segnali prodotti dall’evento del 15 aprile 2020, denominato GRB 200415A, potrebbe perciò confermare l’esistenza di un’ulteriore classe di fenomeni da lungo tempo sospettati di emettere radiazione ad altissima energia. Si tratterebbe dei cosiddetti brillamenti enormi (giant flare), che possono aver luogo nelle magnetar a causa dell’improvvisa variazione del loro campo magnetico indotta da processi ancora poco noti, come transizioni verso configurazioni più stabili del campo o terremoti che coinvolgono la superficie della stella.
La caratterizzazione di GRB 200415A e l’accurata identificazione della sua regione di provenienza, distante circa 11,4 milioni di anni luce e collocata all’interno del disco della galassia NGC 253, nella costellazione dello Scultore, sono state rese possibili grazie all’analisi e alla correlazione dei dati ottenuti dalle varie sonde spaziali attivate dall’evento, tutte appartenenti al sistema di localizzazione di lampi gamma chiamato InterPlanetary Network (IPN). Dopo aver investito la navicella Mars Odissey della NASA, in orbita intorno a Marte, e il satellite NASA Wind, distante 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, l’emissione gamma ha raggiunto il nostro pianeta per poi essere rivelata dai telescopi spaziali Fermi (NASA) e Integral (ESA) e dallo strumento Atmosphere-Space Interactions Monitor (ASIM) a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Ulteriori dettagli relativi all’entità del fenomeno sono stati inoltre forniti dal Neils Gehrles Swift Observatory della NASA, anch’esso appartenente alla rete IPN.
In particolare, lo studio dei dati raccolti dallo strumento Fermi-GBM è risultato fondamentale per la corretta classificazione di GRB 200415A all’interno di una tipologia a sé stante di sorgenti, le magnetar appunto, con caratteristiche distintive rispetto a quelle che contraddistinguono lampi gamma prodotti nel processo di fusione di due stelle di neutroni. “Ciò che è emerso sin dal giorno stesso dell’osservazione, durante le analisi preliminari, – spiega Elisabetta Bissaldi, ricercatrice del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Bari e della sezione INFN di Bari - è che l’evento risultava del tutto peculiare sia dal punto di vista temporale che energetico. Basti pensare che, oltre ad essere di durata brevissima, appena 140 millisecondi, la curva di luce ha evidenziato un aumento estremamente rapido in soli 77 microsecondi. Questi aspetti, insieme alla successiva triangolazione della posizione dell’evento, proveniente da una galassia vicina alla nostra, hanno perciò fatto pensare al giant flare di una magnetar come possibile spiegazione.”
La posizione della sorgente GRB 200415A ha perciò costituito un fattore nuovo e decisivo nella classificazione dell’evento di aprile. Una magnetar troppo vicina alla Terra produce infatti un segnale che eccede la capacità dei rivelatori, e quindi impossibile da analizzare, come è successo in passato per altre magnetar nella nostra Galassia. Il segnale proveniente dalla magnetar in questione, di origine extra galattica, è stato invece osservato proprio in virtù della sua distanza molto elevata, permettendo di misurare dettagliatamente per la prima volta lo spettro di questo tipo di sorgente. Questa informazione potrebbe fornire quindi indicazioni utili anche per l’interpretazione degli eventi osservati in passato nella Via Lattea.
Nell’identificazione della direzione del lampo gamma osservato ad aprile, ha svolto un ruolo fondamentale lo strumento principale a bordo del Fermi Telescope, LAT. “Il contributo di Fermi-LAT – sottolinea Alessandra Berretta, ricercatrice della sezione INFN di Perugia e membro della collaborazione LAT - è stato decisivo per confermare l’associazione spaziale dei fotoni ad alta energia, osservati dal satellite, con la galassia NGC 253. Per questo caso specifico abbiamo ottimizzato una procedura di analisi già più volte utilizzata per i cataloghi di sorgenti gamma di Fermi-LAT dal gruppo INFN di Perugia e SSDC: in questo modo è stato possibile confermare la direzione di provenienza della radiazione elettromagnetica.”