L’esperimento Belle II al laboratorio KEK in Giappone, a cui lavora una grande collaborazione internazionale di cui l’INFN è uno dei principali componenti, ha ottenuto la prima evidenza di un decadimento particolarmente elusivo del mesone B carico, una particella composta da un quark beauty (bellezza) ed un antiquark. Lo studio, presentato in anteprima lo scorso luglio alla conferenza della European Physical Society ad Amburgo, e recentemente in un seminario dedicato al CERN, è stato ora pubblicato su arxiv ed inviato alla rivista Physical Review D. Si tratta di un risultato che parla molto italiano perché l’analisi dei dati è stata condotta da un gruppo italiano della Sezione di Perugia dell’INFN, in collaborazione con gruppi tedeschi dei laboratori KIT e DESY, francesi del CNRS di Strasburgo e con il KEK.
Il mesone B carico, prodotto nelle collisioni tra elettroni e positroni dell’acceleratore SuperKEKB, è stato osservato decadere in un kaone carico (un’altra particella costituita da un quark e da un antiquark), in un neutrino ed in un antineutrino. Questo decadimento è importante perché le sue proprietà sono previste con precisione dal Modello Standard della fisica delle particelle elementari, ma sono anche sensibili ad un’ampia varietà di estensioni plausibili del Modello Standard stesso. Misurarle offre quindi informazioni preziose sulla nostra comprensione della materia e delle forze al livello più fondamentale.
Nonostante questo decadimento sia stato cercato da 20 anni, era rimasto fino ad oggi inosservato: rivelarlo è stata un’impresa difficile, che ha richiesto alla collaborazione scientifica Belle II il superamento di impegnative sfide tecnologiche e scientifiche. Oltre all’importante risultato della prima evidenza di un evento raro ed estremamente difficile da scovare, c’è però anche qualcosa che ha sorpreso i ricercatori. “La frequenza con cui è stato osservato il decadimento è più alta di quanto ci aspettassimo di misurare”, spiega Claudia Cecchi, professoressa del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università degli Studi di Perugia e ricercatrice associata all’INFN, responsabile del gruppo locale di Belle II. “Potrebbe essere un segno di qualcosa di nuovo o potrebbe semplicemente essere una fluttuazione statistica: serviranno più dati per trovare risposta a questo interrogativo”.
Un decadimento del genere è notoriamente difficile da individuare a causa della presenza di due neutrini. I neutrini sono le ‘particelle fantasma’ dell’universo. Esistono in abbondanza, ma non interagiscono quasi per nulla con il resto della materia. Non lasciano tracce, non depositano energia, non subiscono l’effetto del campo magnetico. Questo significa che i neutrini di fatto non sono rivelabili nell’esperimento Belle II, privando i ricercatori di informazioni preziose per identificare il decadimento cercato. I ricercatori possono solo usare la mancanza di un piccolo quantitativo di energia dal bilancio totale della collisione come indicazione indiretta della presenza dei neutrini. E poiché meno di un mesone B ogni 100 000 decade in un kaone ed una coppia neutrino-antineutrino, risulta estremamente difficile misurarlo.
“L’osservazione di questo decadimento è stata possibile grazie a una serie di fattori”, spiega Elisa Manoni, ricercatrice della Sezione di Perugia dell’INFN e coordinatrice delle analisi di fisica del gruppo italiano di Belle II, che ha presentato il risultato nel seminario al CERN. “Innanzitutto, il gruppo di ricerca ha soppresso al massimo gli eventi di fondo per avere una visione più chiara della impronta sperimentale tipica del decadimento cercato. È cruciale il fatto che all’acceleratore SuperKEKB i mesoni B vengono prodotti in coppie: uno dei due mesoni, detto di ‘tag’ (o partner), può essere usato per inferire le proprietà del decadimento dell’altro mesone B (di segnale). Da un lato, è stato notevolmente migliorato un metodo convenzionale chiamato ‘tag adronico’, che ricostruisce il decadimento completo del mesone B partner in particelle chiamate adroni nel rivelatore. Dall’altro, è stato usato un approccio innovativo che, grazie al machine learning, ricostruisce statisticamente le proprietà del mesone B partner tenendo conto di tutti i suoi possibili decadimenti. Questo approccio aumenta l’efficienza di ricostruzione del segnale di un fattore dieci, risultando decisivo per l’evidenza“, conclude Manoni.
“L’esperimento Belle II oggi è l’unico che ha accesso a questa misura, come molte altre simili, ed egualmente rilevanti, che coinvolgono neutrini. - sottolinea Diego Tonelli, primo ricercatore della sezione INFN di Trieste che ha coordinato le analisi di fisica di tutta la collaborazione Belle II fino allo scorso agosto - " L’analisi ha sottoposto i ricercatori direttamente implicati, e tutta la collaborazione, ad un vero e proprio tour de force durato due anni. La qualità del lavoro, e l’interesse dei risultati, testimoniano la maturità della collaborazione e ci rendono ottimisti e motivati per le sfide del prossimo futuro.”
Sarà quindi necessaria un’osservazione più attenta quando un maggior numero di dati sarà disponibile, a cominciare già dai primi mesi del 2024, quando l’acceleratore SuperKEKB riprenderà a produrre collisioni di elettroni e positroni dopo una pausa di un anno e mezzo, durante la quale sono stati anche implementati molti miglioramenti tecnologici sia nell’acceleratore, sia nel rivelatore Belle II.
L’INFN partecipa a Belle II con un gruppo di circa 70 ricercatori e ricercatrici di 8 strutture (Frascati, Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Roma Tre, Torino e Trieste) che oltre ad analizzare i dati raccolti hanno fornito un contributo fondamentale alla costruzione e al funzionamento del rivelatore. In particolare, il gruppo di Perugia si occupa del calorimetro elettromagnetico, fondamentale per la misura ottenuta in quanto permette di stimare l’energia mancante agli eventi rivelati.