Misurare con precisione la forza nucleare forte responsabile dell’interazione tra adroni, le particelle subatomiche composte da quark. Una delle frontiere della fisica nucleare: un traguardo a cui è legata la possibilità di confermare le previsioni della cromodinamica quantistica (QCD), la teoria che descrive l’interazione forte, e di studiare i meccanismi fisici che regolano l’aggregazione di stati ‘esotici’ della materia, come quelli che potrebbero essere presenti all’interno delle stelle di neutroni. Come riportato in un articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature, la collaborazione internazionale ALICE ha sviluppato e applicato un nuovo metodo per misurare questa interazione utilizzando gli adroni prodotti in collisioni di protoni al Large Hadron Collider (LHC) del CERN. La misura è stata resa possibile dalle caratteristiche specifiche dell’esperimento, nel quale l’INFN svolge un ruolo centrale.
Oltre a essere responsabile del legame esistente tra i protoni e i neutroni (gli adroni che costituiscono i nuclei atomici), la forza nucleare forte, mediata dai gluoni, regola l’interazione tra adroni che contengono quark meno comuni. A questa famiglia appartengono gli 'iperoni’, che presentano uno o più quark ‘strange’, quark che non sono presenti nei nuclei e quindi nella materia ordinaria ma che potrebbero essere presenti nelle stelle di neutroni. L’entità della forza con cui questa tipologia di particelle interagisce non è conosciuta ancora in maniera quantitativa. Complessi calcoli basati sulla cromodinamica quantistica, noti come QCD su reticolo, cercano di simulare i legami tra gli adroni a partire da quelli fondamentali esistenti tra i quark che li compongono. I risultati però sono al momento stabili solo per gli adroni più pesanti.
A causa dell’instabilità degli iperoni, che decadono rapidamente, e della difficoltà di produrre fasci di queste particelle, è sempre stato molto difficile ottenere conferme sperimentali delle previsioni della QCD per questo aspetto della forza forte. La tecnica utilizzata recentemente nell’ambito della collaborazione ALICE è denominata femtoscopia, poiché si concentra su grandezze dell’ordine del femtometro (10-15 metri) - corrispondenti a circa la dimensione di un adrone e al raggio d’azione dell’interazione forte. La femtoscopia si basa sul principio quantistico che lega la differenza di impulso di particelle poco distanziate alla loro interazione. L’applicazione di questa tecnica alle collisioni di LHC ha permesso alla collaborazione ALICE di misurare per la prima volta l’attrazione dovuta all’interazione forte esistente tra un protone e il più pesante degli iperoni, la particella Ω, composto da ben 3 quark strange. Utilizzando l’acceleratore LHC come ‘fabbrica’ di particelle, la metodologia potrà essere adottata in futuro nello studio delle dinamiche di interazione di qualsiasi coppia di adroni.
“I risultati contenuti in questo articolo sono un importante traguardo, ma rappresentano anche il punto di partenza per esplorare con ALICE questo ambito dell’interazione forte – spiega Andrea Dainese, coordinatore scientifico di ALICE e ricercatore della sezione INFN di Padova – e confermano la versatilità di un esperimento ideato per studiare il plasma di quark e gluoni con collisioni di nuclei a LHC e ora divenuto uno strumento che rivela molti altri aspetti della cromodinamica quantistica”.
Una ulteriore e affascinante applicazione del metodo descritto nell’articolo di Nature riguarda la comprensione dello stato della materia che compone il nucleo delle stelle di neutroni. A causa dell’elevata pressione che caratterizza queste stelle, si ipotizza che al loro interno possano essere prodotti anche iperoni, essendo energeticamente favorevole per la materia in queste condizioni trovarsi in forma di quark strange, oltre che up e down. Le future misure di interazioni tra materia ordinaria (protoni) e strana (iperoni) tramite la femtoscopia rappresentano un tassello essenziale per lo sviluppo delle equazioni di stato della materia delle stelle di neutroni e per determinare la loro evoluzione nel tempo.
L’efficacia della nuova tecnica e la precisione delle misure pubblicate nella rivista Nature poggiano sulle grandi prestazioni dei diversi rivelatori di ALICE, capaci di identificare le particelle prodotte dalla collisione dei protoni accelerati all’interno di LHC e misurare il loro impulso e i loro decadimenti. Allo sviluppo e alla realizzazione di tali rivelatori, ha contribuito in maniera determinante l’INFN, che è anche uno degli istituti di ricerca più rappresentati all’interno della grande collaborazione internazionale responsabile dell’esperimento. “L’INFN ha svolto un ruolo molto importante nella realizzazione dell’inner tracking system – spiega Massimo Masera dell’Università e INFN di Torino, coordinatore dei gruppi italiani in ALICE –, il sistema di tracciamento al silicio più interno dell’esperimento, che rivela i decadimenti degli iperoni, e del rivelatore di tempo di volo, uno dei rivelatori più estesi di ALICE, che consente l’identificazione delle particelle cariche”.