La fusione di due buchi neri come conseguenza di uno scontro diretto, non preceduta quindi dal tipico spiraleggiamento riscontrabile nell’andamento dei segnali rivelati fino a oggi dagli interferometri gravitazionali, potrebbe risultare una delle modalità con cui questi violenti fenomeni astrofisici di verificano. A sostenerlo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università e della sezione INFN di Torino, insieme a colleghi dell’Università Friedrich Schiller (FSU) di Jena (Germania), pubblicato oggi, giovedì 17 novembre, sulla rivista Nature Astronomy. Attraverso simulazioni effettuate tramite calcolatore, gli scienziati hanno appurato come un modello che preveda l’esistenza di sistemi binari composti da coppie di buchi con orbite allungate, in grado di dare luogo a collisioni rapide e puntuali, sia compatibile con un evento anomalo di breve durata osservato dai due interferometri statunitensi LIGO e da quello europeo Virgo, ospitato in Italia, a EGO European Gravitational Observatory fondato dell’INFN e dal francese CNRS. Se confermato, il risultato potrebbe fornire un nuovo strumento per l’interpretazione dei segnali gravitazionali, aumentando la comprensione delle configurazioni che caratterizzano i sistemi binari di buchi neri.
Osservate per la prima volta nel 2015, le onde gravitazionali, impercettibili perturbazioni dello spaziotempo, sono in grado fornirci preziose informazioni sui corpi celesti che compongono i sistemi binari responsabili della loro emissione, nonché sull’evoluzione dinamica di questi stessi sistemi. Nel caso dei buchi neri, i segnali gravitazionali rivelati hanno trovato fino a oggi corrispondenza con le previsioni del modello utilizzato per interpretarli, che distingue tre diverse fasi nel processo di coalescenza: iniziale, caratterizzata dalla vorticosa rotazione dei buchi neri uno intorno all’altro (inspiral); centrale, relativa alla fusione (merger); e finale, durante la quale il nuovo corpo celeste venutosi a creare si espande e si contrae prima di stabilizzarsi (ringdown).
“L’analisi di un particolare segnale registrato il 21 maggio 2019 dalle collaborazioni LIGO e Virgo ha fatto emergere delle differenze rispetto ai dati su cui siamo abituati a confrontarci. La forma e la brevità - meno di un decimo di secondo - del segnale associato all’evento, inducono infatti a ipotizzare una fusione istantanea tra due buchi, avvenuta in mancanza di una fase di spiraleggiamento”, commenta Alessandro Nagar, ricercatore della sezione INFN di Torino.
Denominato GW190521, l’evento, che potrebbe essere il prodotto della fusione di due buchi neri di seconda generazione, in quanto le loro masse, pari a circa 85 e 60 masse solari, non sarebbero teoricamente consentite come risultato di un collasso stellare, è stato perciò oggetto di una attenta indagine della comunità scientifica, che ha proposto ipotesi alternative per spiegarne l’origine.
“GW190521”, spiega Rossella Gamba, ricercatrice dell'Università di Jena e autrice principale della ricerca, “è un segnale particolarmente enigmatico perché la sua forma e la sua natura esplosiva lo rendono estremamente diverso da quanto abbiamo osservato in passato".
Secondo l’ipotesi proposta dagli autori dell’articolo di Nature Astronomy, a differenza delle sorgenti finora analizzate grazie alle osservazioni degli interferometri LIGO e Virgo, costituite da coppie di buchi neri formatisi a seguito del collasso di una stella in sistemi separati e caratterizzate da un’orbita circolare costante, GW190521 potrebbe essere stato originato dallo scontro di due buchi con orbite eccentriche, a seguito della formazione del sistema binario per mezzo della cattura dinamica di uno dei due corpi da parte dell’altro. Uno scenario contemplato anche dalla Relatività Generale.
“Per verificare l’ipotesi”, commenta Matteo Breschi, ricercatore dell'Università di Jena e coautore dello studio, “abbiamo quindi elaborato un modello descrittivo avvalendoci di una combinazione di metodi analitici all'avanguardia e simulazioni numeriche, confrontando i dati ottenuti con il segnale. In questo modo abbiamo scoperto che una fusione altamente eccentrica spiega l'osservazione meglio di qualsiasi altra ipotesi avanzata in precedenza”.
Il modello impiegato per interpretare l’evento fornisce inoltre possibili indizi sulle condizioni alla base dell’eventuale nascita ed evoluzione dinamica della tipologia di sistema binario descritto. La cattura dinamica potrebbe infatti avvenire in ambienti molto densi, come gli ammassi stellari, dove i buchi neri binari possono formarsi.
“Uno dei due buchi neri situati in un simile ambiente”, illustra Gregorio Carullo, ricercatore del Niels Bohr Institute di Copenaghen, “in possesso inizialmente di un’orbita non vincolata, potrebbe essere infatti catturato dal campo gravitazionale dell’altro, dando vita al sistema binario che porterà alla rapida fusione dei suoi componenti posti su traiettorie altamente eccentriche. L’ipotesi potrebbe inoltre spiegare le elevate masse dei due buchi neri progenitori coinvolti, che, in ambiente stellare molto denso, potrebbero essere andati incontro a eventi di fusione precedenti. Sebbene i tassi di fusione siano attualmente molto incerti, le catture dinamiche dovrebbero essere molto rare. Ma questo rende i nostri risultati ancora più eccitanti.”
Per effettuare l’analisi dell’evento GW190521 è stato necessario sviluppare un quadro di riferimento teorico nell’ambito della relatività generale, in grado di descrivere le fusioni di buchi neri altamente eccentrici, confrontando infine le previsioni del modello con le simulazioni.
“Il lavoro”, specifica Simone Albanesi, ricercatore dell’università di Torino, “sviluppato dai gruppi di ricerca di Torino e Jena, guidati rispettivamente da Alessando Nagar e da Sebastiano Bernuzzi, non ha precedenti, in quanto nessun modello di cattura dinamica era mai stato impiegato prima d’ora nell'analisi dei dati delle onde gravitazionali, che ha richiesto estrema attenzione e una notevole potenza di calcolo.”
"Lo sviluppo del modello analitico per le binarie eccentriche e la cattura dinamica è stato avviato nel 2019, con diversi progressi teorici originali in quello che all'epoca era un territorio per lo più inesplorato”, conclude Piero Rettegno, ricercatore INFN della sezione di Torino.