KM3NET: DOPO LA FASE PREPARATORIA, PARTE ORA LA COSTRUZIONE DEL RIVELATORE PER NEUTRINI DA UN CHILOMETRO CUBO

KM3NeT2Si sono da poco concluse le operazioni della posa in mare e del collegamento a terra della prima stringa nella sua configurazione definitiva del telescopio per neutrini KM3NeT. Questo risultato segna l'inizio della costruzione dell'esperimento internazionale, cui partecipa l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), che verrà a costituire il più grande rivelatore di neutrini astrofisici dell'emisfero nord della Terra. Collocato nelle profondità del Mar Mediterraneo, KM3NeT studierà le proprietà fondamentali dei neutrini e mapperà i neutrini cosmici di alta energia prodotti nei processi astrofisici più violenti ed esplosivi che avvengono nel nostro universo.


A bordo della nave Ambrosius Tide, la prima stringa, avvolta come un gomitolo di lana, è stata trasportata fino al sito KM3NeT-Italia, a un centinaio di chilometri al largo delle coste meridionali della Sicilia. È stata quindi calata in acqua, ancorata al fondo marino a una profondità di 3500 metri ed è stata collegata, utilizzando un sommergibile filoguidato dalla nave, alla cosiddetta junction box, già presente sul fondo del mare, che attraverso un cavo lungo 100 km è in connessione con la stazione di terra dell'esperimento, situata a Portopalo di Capo Passero. Infine il “gomitolo” è stato srotolato e la struttura ha assunto la sua configurazione finale "a stringa", tenuta in tensione in posizione verticale da una boa di profondità.
Le operazioni di posa della stringa si sono concluse con un pieno successo: non appena attivato il collegamento, gli strumenti della base di terra hanno iniziato subito a ricevere i dati della rivelazione dei primi muoni.


"Il telescopio è stato progettato per operare a grande profondità nell'acqua del mare perché quest'ultima scherma l'apparato dalle particelle dei raggi cosmici dell'atmosfera", spiega Marco Circella, coordinatore tecnico di KM3NeT. "Costruire una grande infrastruttura del genere a queste profondità – prosegue Circella – rappresenta una sfida tecnologica enorme: l'intero progetto deve essere dimensionato per resistere a condizioni ambientali estreme e con minime possibilità di manutenzione". La riuscita acquisizione dei dati rappresenta quindi un passo fondamentale per il progetto, il culmine di oltre dieci anni di ricerca e sviluppo da parte degli Istituti di ricerca, impresa nella quale l'INFN ha dato un contributo fondamentale.


I neutrini sono le più sfuggenti particelle elementari e la loro individuazione richiede strumentazione dai volumi enormi. KM3NeT occuperà più di un chilometro cubo di acqua di mare grazie a una rete costituita da diverse centinaia di stringhe di rilevamento verticali ancorate al fondo marino, alte 700 m. Ogni stringa ospita 558 fotomoltiplicatori, cioè fotosensori per la rivelazione della luce, distribuiti in 18 moduli ottici spaziati da 40 m. Nel buio degli abissi, i sensori registrano i deboli lampi di luce Cherenkov che segnalano l'interazione dei neutrini con l'acqua di mare che circonda il telescopio. Quando un neutrino interagisce con un atomo dell'acqua marina, infatti, produce un muone che, viaggiando nell'acqua a una velocità maggiore di quella dei fotoni nello stesso mezzo, emette un debole lampo bluastro che viene raccolto dai fotomoltiplicatori. Grazie all'analisi di questi segnali luminosi i ricercatori sono in grado di risalire alle caratteristiche e alla direzione del neutrino primario.


KM3NeT è tra i progetti in esame per entrare nella roadmap ESFRI (European Strategy Forum on Research Infrastructures). Alla collaborazione internazionale partecipano, oltre all'Italia, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Olanda, Regno Unito, Romania, Spagna. La collaborazione italiana, finanziata e guidata dall'INFN e da numerose Università (Bari, Bologna, Catania, Genova, Napoli, Pisa, Roma Sapienza, Salerno), ha condotto la fase preparatoria del progetto europeo KM3NeT. Inoltre, sotto la sigla INFN "Nemo" (Neutrino Mediterranean Observatory) la collaborazione conduce dal 1998 un'intensa attività di ricerca per lo studio del sito abissale di Capo Passero e lo sviluppo delle tecnologie sottomarine per la costruzione del rivelatore.

Il contributo italiano
La componente italiana è tra le più numerose e le più attive nella Collaborazione internazionale. Ad essa competono il coordinamento tecnico generale, l'allestimento e la gestione dell'infrastruttura a terra e sottomarina, l’organizzazione delle operazioni di installazione sul sito di Capo Passero e l'organizzazione di interi sottoprogetti cruciali per la buona riuscita dell'esperimento, che comprendono il sistema di alimentazione, la calibrazione dell'apparato e il sistema di acquisizione dati. Le responsabilità italiane nella costruzione dell'apparato includono inoltre il database centrale di esperimento, l'elettronica di acquisizione dei dati dei fotomoltiplicatori, la preparazione dei fotomoltiplicatori, l'integrazione dei moduli ottici, dei moduli di base e delle stringhe, nonché lo sviluppo degli strumenti di test per tutte queste fasi di costruzione. L'Italia e l'INFN, inoltre, hanno dato il maggior contributo finanziario alla realizzazione del progetto e questo è stato possibile grazie al forte appoggio della Regione Sicilia attraverso i fondi strutturali.


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