L’esperimento LHCb, al Large Hadron Collider (LHC) del CERN, è riuscito a ricreare in laboratorio le collisioni cosmiche fra protoni, accelerati nell’anello a un'energia di 6,5 TeV, e atomi di elio a riposo. Si tratta della prima misura di produzione di antimateria in collisioni protone-elio, e rappresenta perciò un passo significativo verso una migliore comprensione della produzione secondaria di antiprotoni nella propagazione dei raggi cosmici. Questi dati sono importanti per una più accurata interpretazione dei risultati degli esperimenti spaziali PAMELA e AMS-02 sulla misura del rapporto tra protoni e antiprotoni nei raggi cosmici.
L'idea di questa misura nasce da un gruppo di fisici, sia teorici che sperimentali, attivi su progetti di fisica astroparticellare presso le sezioni INFN di Catania, Firenze e Torino, che l'hanno proposta alla collaborazione LHCb. Il gruppo LHCb della sezione di Firenze ha guidato la sua realizzazione attraverso un uso innovativo dei fasci di LHC che ha reso per un giorno LHCb un "esperimento spaziale”. I primi risultati di questa misura sono stati presentati alla conferenza Rencontres de Moriond 2017, a La Thuile.
Negli scorsi anni, l’ultima generazione di esperimenti nello spazio per lo studio dei raggi cosmici ha portato grandi contributi alla nostra conoscenza sulla piccola componente di antimateria, circa una parte su diecimila, presente fra le particelle di alta energia che viaggiano all’interno della nostra galassia. In particolare, gli esperimenti PAMELA, in volo su un satellite dal 2006, e più recentemente AMS-02, in orbita dal 2011 sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), entrambi progetti con una importante partecipazione dell’INFN, hanno misurato con precisione il rapporto fra antiprotoni e protoni nei raggi cosmici, spingendosi a energie di centinaia di GeV, inaccessibili fino a pochi anni or sono.
L’antimateria può fornirci informazioni su processi ancora ignoti che avvengono nell’universo perché, ad esempio, potrebbe essere il prodotto dell’annichilazione di particelle di materia oscura. Ma sappiamo che una piccola frazione di antimateria deve essere prodotta nelle collisioni fra i raggi cosmici e la “polvere di stelle”, cioè il gas interstellare di bassissima densità, composto prevalentemente di idrogeno ed elio, che i raggi cosmici incontrano nel loro cammino.
Per effettuare la nuova misura, i fisici di LHCb hanno iniettato una minuscola quantità di gas di elio nel tubo ad alto vuoto dove circolano i fasci di LHC in prossimità del loro rivelatore, utilizzando un dispositivo chiamato, in modo evocativo, SMOG. La pressione del gas è inferiore a un miliardesimo della pressione atmosferica, cosa necessaria a non alterare i fasci di LHC, ma grazie all'intensità dei fasci di protoni è comunque sufficiente a completare la misura in poche ore.
“Grazie a SMOG, LHCb ha aperto la strada all'uso dei fasci di LHC per esperimenti su bersaglio fisso”, commenta Giacomo Graziani, ricercatore dell’INFN di Firenze, principale autore dello studio. “Sebbene questa configurazione non fosse prevista nel programma iniziale di fisica a LHCb, – prosegue Graziani – la geometria del rivelatore è particolarmente adatta allo scopo, e potremo dare contributi importanti alla fisica dei raggi cosmici e alla fisica nucleare, grazie anche alla possibilità di utilizzare bersagli con diverso numero atomico, come elio, neon e argon".
Grazie alla capacità di distinguere gli antiprotoni dalle altre particelle cariche, una specialità dell'esperimento, i fisici di LHCb hanno misurato la probabilità che gli antiprotoni si formino in queste collisioni, che avvengono proprio all'energia rilevante per le attuali misure nello spazio. Per misurare con precisione la densità di questo bersaglio gassoso, è stata sviluppata una tecnica ad hoc: sono stati contati i singoli elettroni atomici che, “colpiti” dai protoni del fascio, un po' come palle da biliardo, vengono proiettati all'interno del rivelatore. Questo processo è conosciuto con grande precisione, e permette dunque di risalire al numero di atomi di elio esposti al fascio.
“La misura realizzata contribuirà a ridurre le incertezze presenti sulla stima degli antiprotoni secondari nei raggi cosmici, dando quindi la possibilità di una interpretazione più chiara delle difficili misure sugli antiprotoni effettuate da PAMELA e AMS-02, ed è una chiara dimostrazione dell’importanza della multidisciplinarietà in ambito scientifico”, sottolinea Oscar Adriani, direttore della Sezione INFN di Firenze, uno dei proponenti della misura.“Questo risultato a LHC – prosegue Adriani – è infatti segno della vivacità intellettuale delle collaborazioni scientifiche LHCb e PAMELA e dimostra la capacità di mettere insieme in modo complementare quello che osserviamo in cielo prodotto dagli ‘acceleratori spaziali’ e quello che realizziamo noi nei nostri ‘acceleratori terrestri’”.
“L’antimateria cosmica è uno straordinario messaggero per la comprensione della produzione e propagazione di particelle nella Galassia” spiega Fiorenza Donato, ricercatrice dell’INFN di Torino e professore di Fisica Teorica all’Università di Torino, che ha proposto la misura sull’elio ai colleghi sperimentali. “Tra gli antiprotoni misurati, - prosegue Donato - se ne potrebbero annidare alcuni originati dall’annichilazione di particelle di materia oscura, e i dati che LHCb ha prodotto con notevole efficacia su bersaglio di elio potrebbero contribuire a rendere meno ambigua la loro individuazione”. “Questa misura può essere la prima di altre misure sviluppate dagli esperimenti al CERN con LHC in collaborazione con la fisica cosmica, che ormai è diventata una scienza di alta precisione: la sinergia che si è creata può portare a importanti risultati per la soluzione di alcuni tra i più grandi misteri ancora irrisolti sul nostro universo, come quella della natura della materia oscura”, conclude Donato.