Prendi un nanosatellite, aggiungi dei rivelatori nei raggi X super efficienti di derivazione tecnologica italiana e lancialo in orbita per studiare la più celebre delle pulsar, quella del Granchio. Questa potrebbe essere, in estrema sintesi, la “ricetta” della missione spaziale cinese PolarLight, i cui primi risultati vengono pubblicati in un articolo sulla rivista Nature Astronomy. Il team di PolarLight, guidato da Hua Feng della Tsinghua University di Pechino e a cui partecipano ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), avrebbe registrato una diminuzione del grado di polarizzazione della radiazione emessa dalla pulsar Granchio, a cavallo di un 'glitch' osservato nel luglio del 2019. I 'glitch' sono delle rapide accelerazioni della rotazione della stella di neutroni dovute a un riassestamento repentino del suo nucleo. Questa variazione potrebbe essere legata a un riaggiustamento della magnetosfera della pulsar e alla conseguente variazione col tempo dell’angolo di polarizzazione della radiazione di alta energia emessa. Con questi suoi primi risultati, la missione PolarLight riapre la finestra della polarimetria nei raggi X, dopo 45 anni dal lancio del satellite statunitense OSO-8.
Al di là del risultato scientifico, interessante ma tuttavia con un margine di incertezza piuttosto ampio, il lavoro di PolarLight è importante perché sancisce il successo della tecnologia impiegata, e questo è determinante in vista della futura missione IXPE. La missione PolarLight, che è frutto di una collaborazione tra Italia e Cina, nasce, infatti, come dimostratore tecnologico, cioè con l’obiettivo di testare la nuova tecnica osservativa, sviluppata in 20 anni dall’INFN di Pisa e dall’INAF-IAPS di Roma, e basata su rivelatori Gas Pixel Detector (GPD). Si tratta della stessa tecnologia dei rivelatori di IXPE, il satellite della NASA che verrà lanciato nel 2021, e che di fatto è una missione bilaterale con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) con l’importante partecipazione di INFN e INAF. PolarLight conferma quindi le potenzialità della nuova tecnica di rivelazione e apre così anche a suoi promettenti sviluppi futuri.
PolarLight è un payload delle dimensioni di un cubetto di 10 cm di spigolo, installato in un Cubesat costituito da 6 unità e lanciato in orbita bassa eliosincrona il 28 ottobre 2018. In questo cubetto, oltre al rivelatore, è alloggiata l'elettronica di lettura, sviluppata dall’INFN, che gestisce sia il rivelatore, acquisendone i dati e trasferendoli in memoria, sia le linee ad alta tensione.
“In particolare, su PolarLight vola un chip elettronico di lettura, cuore del rivelatore, disegnato e sviluppato nei nostri Laboratori INFN di Pisa”, spiega Luca Baldini, responsabile per l’INFN della missione. “Il successo tecnologico della missione, quindi, segna il coronamento di un lungo programma di R&D, che ha permesso di portare per la prima volta nello spazio una nuova tecnologia tutta italiana, e fornisce conferma delle potenzialità della futura missione IXPE, che utilizzerà lo stesso identico chip”, conclude Baldini.
“Elemento chiave del payload insieme al rivelatore è l'impiego di un sistema di collimazione miniaturizzato a capillari che limita il fondo cosmico X” spiega Paolo Soffitta, dell’INAF, coautore dell’articolo. “Questa soluzione, che usiamo nei nostri laboratori dell’INAF-IAPS da più di 10 anni ed è alla base del sistema di collimazione studiato per il satellite LOFT ed adottato sulla prossima missione spaziale eXTP”.