Ricostruire, in totale sicurezza, una mappa di densità in 3D del combustibile esausto contenuto nei depositi delle centrali nucleari europee grazie a una tecnologia sviluppata dalla fisica delle particelle. Sarà questo il compito del progetto MuTomCa (MUon TOmography for CAstors) che prevede la costruzione di un rivelatore a muoni, particelle simili agli elettroni ma con una massa circa 200 volte superiore, in grado di restituire un’immagine tomografica molto precisa dell’interno dei contenitori, in cui è stoccato il combustibile esausto, operando dall’esterno. In Europa, attualmente, esistono circa 1500 contenitori su cui potrebbe essere applicata questa tecnologia.
Il progetto è frutto di una collaborazione internazionale tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Italia), il Centro Ricerche Jülich (Germania), il gestore dei depositi di contenitori BGZ (Germania) e la Comunità Europea della Energia Atomica (EURATOM).
Ad oggi, non è disponibile alcun metodo sufficientemente preciso per una ri-verifica del combustibile esausto conservato in fusti fortemente schermati con pareti spesse, in cui il combustibile interno è praticamente inaccessibile al rilevamento con neutroni e raggi gamma poiché schermato dai blocchi di combustibile esterno. La rilevanza di questo problema aumenterà con la graduale eliminazione della produzione di energia nucleare dove non fosse disponibile alcuna installazione in loco per aprire i contenitori di combustibile esausto, ai fini di una nuova verifica, nel caso in cui tutte le misure di contenimento e sorveglianza relative alle salvaguardie fallissero.
La tomografia muonica è una tecnica che utilizza i muoni, particelle che vengono prodotte quando i raggi cosmici provenienti dallo spazio interagiscono con l’atmosfera terrestre, per ricostruire un’immagine della struttura interna di un oggetto anche molto grande. Mentre i raggi X, con cui si fanno le radiografie, non riescono ad attraversare più di qualche decina di centimetri, i muoni possono attraversare grandi spessori di materia, anche alcuni chilometri. Questa caratteristica permette di impiegare queste particelle per realizzare immagini tridimensionali di strutture di grandi dimensioni dall’esterno e in completa sicurezza.
Il rivelatore
Un team di ricerca guidato dai fisici della sezione di Padova dell’INFN, a cui partecipano anche associati della sezione di Genova e di Pavia, sta lavorando alla costruzione di un rivelatore per muoni basato sulla tecnologia dei “tubi a deriva”. Questa tecnologia è frequentemente usata per rivelare particelle cariche ed è usata nei rivelatori a muoni degli esperimenti dell’acceleratore LHC, del Cern , dove ha dato un contributo fondamentale, ad esempio, alla scoperta del bosone di Higgs.
Una volta completato, il rivelatore sarà formato da due moduli, ciascuno alto 4 metri e mezzo con una base di 1 metro e mezzo e con un peso di 1 tonnellata. All’interno di ogni modulo, sei strati di 30 o 31 tubi a deriva costituiti da un tubo di alluminio di 5 cm di diametro e riempito con una particolare miscela di gas, con al centro un sottile filo di rame e berillio posto ad una tensione di 3000 V. Al passaggio dei muoni cosmici il rivelatore è in grado di misurarne la posizione e la direzione con estrema precisione e, grazie a questi dati, è possibile riscostruire l’immagine interna della struttura che si andrà ad analizzare. La fase di costruzione e assemblaggio durerà circa 1 anno ed è in corso in Italia. La successiva fase di test si volgerà in Germania e durerà circa 6 mesi.
Le applicazioni della tomografia muonica
La prima applicazione di questa tecnologia risale alla fine degli anni ’60 quando, nel contesto di un’indagine archeologica in Egitto, furono installati dei rivelatori di muoni nella piramide di Chephren, nella piana di Giza, per capire se al suo interno esistessero altre camere ancora da scoprire. All’epoca non se ne trovarono altre. Recentemente, invece, studiando la piramide di Cheope è stata scoperta la presenza di una nuova camera sconosciuta.
Le applicazioni più recenti della radiografia muonica interessano, in particolar modo, i vulcani. Installando un rivelatore alla base, è possibile, infatti, avere informazioni sulla struttura interna, in particolare sul condotto vulcanico, che ha una densità diversa rispetto alla roccia che lo circonda tanto da risultare ben visibile nell’immagine.
Altre applicazioni dell’uso dei muoni cosmici si possono trovare nei controlli dei mezzi di trasporto per contrastare il contrabbando nucleare, in applicazioni industriali per evitare incidenti dovuti a fusioni di sorgenti radioattive nelle fonderie e per ottimizzare il ciclo degli altoforni. Sarà possibile usare la stessa tecnologia per studiare altri tipi di rifiuti nucleari immagazzinati nei decenni passati in contenitori di cemento che necessitano di esser messi in sicurezza.